UNGHERIA: La guerra del gas

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La politica suicida dell’Ungheria di Orbán nella guerra europea per l’approvvigionamento del gas naturale. E la Russia ne approfitta.

È inutile negarlo. È in corso una guerra del gas in Europa che meglio di ogni altra situazione politica sta mostrando il vero volto di Budapest e ci rivela come l’Ungheria stia giocando una partita parallela a quella dell’Ue. Lo scorso ottobre il ministro degli Esteri e del Commercio estero Péter Szijjártó è volato a Mosca per acquistare una fornitura maggiore di gas russo a prezzo agevolato. Si tratta di 11 milioni di metri cubi al giorno – oltre a quelli (4,5 miliardi) già previsti dal contratto quindicennale siglato nel 2021 – in arrivo in Ungheria attraverso il gasdotto “balcanico” TurkStream. È questa una pratica già in atto dal 2022 quando fu acquistato il primo rimbocco di 5,8 milioni di metri cubi di gas.  Il governo li pubblicizza come forniture agevolate sul prezzo di mercato. In realtà si tratta di tutt’altro: è l’esplicita dipendenza dell’Ungheria dal gas russo con la promessa (illusoria) di fare di Budapest il centro di smistamento del gas naturale in arrivo in Europa e, al contempo, l’alternativa (pericolosa) al piano RepowerEu, il piano di approvvigionamento energetico in essere tra gli Stati europei per ridimensionare, e in ultima analisi escludere, il gas russo dopo l’aggressione di Mosca a Kiev del febbraio 2022.

Perché il gas e non un altro combustibile fossile? Da una decina di anni a questa parte il gas naturale, composto per quasi il 90% di metano, viene pubblicizzato come combustibile “pulito”. In realtà la sua incidenza sui gas serra è di poco inferiore a quella del petrolio e del carbone. Quello che invece ha sospinto la corsa al gas è stata la sua redditività: produce la stessa quantità di energia ad un prezzo più conveniente, perché la sua densità energetica è mille volte superiore a quella del petrolio. Ci sono Paesi europei che hanno puntato tutto sul gas naturale. L’Italia, per esempio, bandito il nucleare nel lontano 1987, produce la maggior parte dell’energia elettrica tramite gas naturale, il 97% del quale viene importato dall’estero. Se poi consideriamo che la Russia è il principale produttore al mondo di gas naturale il cerchio politico si chiude.

Perché proprio l’Ungheria?

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Nel Paese magiaro sono confluiti alcuni fattori che lo rendono un caso unico in Europa. La produzione nazionale di gas è superiore alla media dell’Ue, che si attesta intorno al 7% mentre in Ungheria raggiunge il 15-20%. Budapest, a differenza degli altri Paesi europei, possiede significative capacità di stoccaggio con depositi pieni al 64%. Inoltre, la politica governativa, che nell’inverno di due anni fa ha imposto la chiusura delle università per risparmiare sul riscaldamento delle aule consentendo solo lezioni a distanza, si è posta come obiettivo la riduzione del consumo energetico nazionale che ha raggiunto il 20%.

Dal 1991, poi, opera, con grande profitto, la società statale ungherese MOL, la prima compagnia energetica dell’Europa centrale ad aver stabilito partnership transfrontaliere. In poco più di 15 anni ha aperto stazioni di servizio in Romania, completato l’acquisto della Slovnaft, la compagnia petrolifera nazionale slovacca, e acquisito tutte le stazioni di servizio Shell in territorio romeno e quelle Roth in Austria. Nel 2007, è stata la volta della IES (Italiana energia e servizi) e della sua raffineria a Mantova, mentre nel 2011 è toccato alla società croata INA.

Parallelamente alla spregiudicata politica economica del capo di MOL, Zsolt Hernádi, il governo Orbán ha sostenuto la costruzione di una rete di interconnettori, ossia una rete di gasdotti di collegamento per lo smistamento del gas naturale tra Paesi confinanti. Mentre il flusso di gas con la Serbia e con la Macedonia del Nord è assicurato dal gasdotto TurkStream, è in corso un progetto per l’estrazione di gas naturale nel Mar Nero dal giacimento Neptun Deep. Si stima che l’opera, a cura delle società rumene OMV Petrom e Romgaz, assicurerà una fornitura di gas per l’Ungheria pari al 10-20% del suo consumo nazionale. Con la Slovenia l’accordo è in programma per quest’anno. Con la Slovacchia, invece, già da tempo c’è una comunione di intenti anche a livello energetico. Sono stati proprio Orbán e Fico a suggerire l’acquisto di gas russo oltre il confine ucraino e il trasporto in Europa come proprietà dell’acquirente (Slovacchia e Ungheria) in modo da aggirare le sanzioni dell’Ue contro Mosca rea di aver provocato la guerra in Ucraina. Non stupisce il fatto che, da parte sua, Zelensky abbia voluto interrompere tout court il passaggio di gas russo sul territorio ucraino a favore di quei Paesi europei che, indirettamente, continuano a sovvenzionare Mosca.

La dipendenza dell’Ungheria dalla Russia è evidente anche se consideriamo la centrale nucleare Paks. Situata nel cuore del Paese, tra Budapest e Pécs, la centrale è dotata di quattro reattori sovietici costruiti negli anni Settanta che avrebbero dovuto essere dismessi tra il 2012 e il 2017, ma che, a seguito di una proroga ventennale, continuano a fornire il 50% dell’energia prodotta nel Paese e il 36% del fabbisogno nazionale. Orbán sta dando il suo Paese in pasto a Putin.

https://www.8newsnow.com/news/business/ap-business/ap-hungary-wants-the-eu-to-intervene-in-a-gas-dispute-with-ukraine/



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