Cineteca della Calabria, spunti di storie perdute per ricordare • Meraviglie di Calabria

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Quando si parla di memoria collettiva, si fa riferimento a un processo di selezione attraverso cui una comunità decide cosa conservare degli eventi del proprio passato e cosa, invece, lasciare in secondo piano. Costruire la memoria implica individuare elementi essenziali per evitare che l’identità si disperda nel tempo. C’è chi del dovere della memoria fa tesoro, e mette da parte ciò che appartiene ai calabresi, con spirito di filantropia civile, attraverso un lavoro di ricostruzione storica e di documentazione visiva. È quello che fa la Cineteca della Calabria, con uno straordinario lavoro di recupero di quelle storie lasciate, appunto, in secondo piano, se non del tutto rimosse. Di questo si è parlato nella rubrica di approfondimento In Dieci Minuti, a cura della redazione de L’altro Corriere Tv, che ha ospitato il presidente della Cineteca, Eugenio Attanasio, autore di una straordinaria operazione di recupero di storie come quella di Tony Gaudio e di Francesco Mesiano.  «È necessario premettere – esordisce Attanasio – che viviamo in una società che, paradossalmente, ha una memoria molto corta, proprio perché viaggia così velocemente. Dimentica completamente quello che succede prima e, oltre all’oblio, si procede esattamente alla rimozione. Ecco, questo bisognerebbe oggi affrontare, la rimozione della memoria. Noi della Cineteca, invece, andiamo in cerca di piccoli spunti, di storie perdute, per ricordarle alla gente. Soprattutto perché sono le storie assolutamente esemplari di persone nate in Calabria che hanno realizzato delle bellissime cose. Nello specifico, noi ci interessiamo di cinema, memoria e territorio».

Alla Cineteca, nel 2017 per la prima volta si comincia a parlare della storia di Tony Gaudio, primo Oscar italiano nel 1937 con il film Avorio Nero. Era partito da Cosenza, nel 1906, lasciando lo studio fotografico di famiglia gestito dal fratello Raffaele, del quale ancora oggi si può vedere l’insegna all’inizio di Corso Telesio. «Era partito alla volta dell’America con l’idea e l’ambizione del cinema – racconta Attanasio -. Assieme al fratello Eugenio volevano provare la grande avventura di fare cinema, passare dall’immagine statica a quella in movimento. Sognavano di stare dietro la macchina da presa e farlo proprio negli Stati Uniti, perché è qui che ieri, e anche oggi, si concentra il grosso della produzione cinematografica internazionale».

Grazie a questa storia è nato The Lost Legacy of Tony Gaudio, il lavoro di Alessandro Nucci, oggi unico documentario di produzione italiana tra i 169 film in lista per la candidatura come miglior lungometraggio documentario, alla 97ª edizione degli Oscar del 2 marzo prossimo.

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Ma di storie di calabresi che hanno coltivato e realizzato sogni ce ne sono atre, come quella di Francesco Misiano: «Quella di Misiano è una storia per certi versi parallela a quella di Tony Gaudio, recuperata dalla Cineteca all’inizio degli anni 2000. Abbiamo realizzato un documentario, “Il caso Misiano” e poi, sempre nell’anniversario della sua nascita (era nato ad Ardore nel 1884), abbiamo realizzato una pubblicazione molto bella che si chiama “Francesco Misiano, cinema e rivoluzione” presentata nei maggiori festival di settore in Italia come le “Giornate del Cinema muto” di Pordenone e al Salone Internazionale del Libro di Torino. Poi, l’abbiamo tradotta in inglese, grazie al lavoro di Demetrio Jannone, un giovane ricercatore crotonese che lavora alla New York City University. Nel mese di novembre scorso la pubblicazione è stata presentata nella sua università, grazie a Jannone e alla professoressa Eugenia Pauricelli, in un consesso assolutamente prestigioso. Abbiamo raccontato della grande storia di Misiano, il produttore calabrese del Cinema sovietico degli anni venti, che diventò presidente di una grande casa di produzione, la Mežrabpom, che produceva i film di Pudovkin e che portò in occidente La corazzata Potëmkin. Quindi una figura assolutamente di primissimo piano del cinema internazionale comunista. Abbiamo portato, insomma, la storia di un comunista calabrese negli Stati Uniti, e devo dire che l’iniziativa è stata accolta con molto interesse».

Gli Stati Uniti, l’allora Unione Sovietica, e poi la Calabria raccontata da Vittorio De Seta. «È stato un po’ il nume tutelare della Cineteca della Calabria, da quando è nata. Noi siamo stati i primi in Italia, agli inizi del 2000, a ritrovare, a ristampare i suoi documentari. Ancora oggi siamo alle prese con un’opera diversa di promozione e di recupero della figura di De Seta, in progetti concreti. Intanto, anche per lui abbiamo realizzato una bella pubblicazione che si chiama “Vittorio De Seta, lettere dal Sud”, che raccoglie anche un epistolario inedito tra Vittorio e la moglie (sceneggiatrice, attrice e poetessa) Vera Gherarducci, ma abbiamo realizzato anche bellissimi progetti con le scuole, con l’Istituto De Nobili di Catanzaro, con l’Istituto Comprensivo di Sellia Marina. Proprio partendo dall’esperienza di De Seta a Sellia Marina, abbiamo costruito i progetti di integrazione culturale dei bambini stranieri nel mondo della scuola, perché De Seta è stato il primo in Italia, il primo regista, a porsi il problema dell’integrazione culturale degli immigrati extracomunitari. In realtà parlare di De Seta è parlare di un’opera aperta sulla civiltà contadina, che non è solo un’opera nostalgica. È un’opera invece ancora oggi molto moderna. Il mondo della scuola, le nuove immigrazioni, il mezzogiorno, sono ancora temi caldissimi oggi, sono conflitti irrisolti della nostra società che già Vittorio De Seta, nel suo cinema, aveva affrontato 60 anni fa».

Il lavoro di documentazione visiva di De Seta realizzato in Calabria continua a mantenere un valore antropologico inestimabile. E la necessità/dovere di fare memoria ritorna ancora in uno degli ultimi prodotti di Cineteca della Calabria, con Figli del Minotauro, di cui Eugenio Attanasio è regista.

«Figli del Minotauro è il documentario che abbiamo prodotto e che da un paio d’anni sta girando un po’ per l’Italia, per l’Europa, anche a Filadelfia, negli Stati Uniti. Ora faremo delle proiezioni a Mesoraca, a Crotone, a Firenze e al Cinema Arsenale di Pisa nei prossimi mesi. È un lavoro importante che racconta una mitopoiesi del contemporaneo, cioè la costruzione di un mito sulla figura degli allevatori calabresi transumanti. Quindi anche in questo caso abbiamo voluto raccontare una storia che si svolge in Calabria, quella della famiglia Mancuso di Marcedusa, che perpetuano il rito del trasferimento delle mandrie dalle pianure alla montagna, che è una cosa che veniva cantata addirittura da Virgilio. Non è solo una storia frontale, ma è una storia che racconta la famiglia e anche il rapporto dell’uomo con gli animali. Abbiamo fatto riprese anche nella Grotta del Romito, che è una meraviglia della Calabria che pochi conoscono, che pochi visitano, ma che è la nostra Cappella Sistina della preistoria, in cui un artista di 25.000 anni fa ha raffigurato la sagoma di un bos primigenius. Una testimonianza di un rapporto molto complesso e antico che è quello dell’uomo con gli animali. Tutti gli animali transumano e gli uomini seguono gli animali, questo di fondo raccontiamo. È un lavoro che ci ha dato molte soddisfazioni, tradotto in tante lingue, portato in tanti festival internazionali come in Francia al “Festival del pastoralismo”. Come Cineteca portiamo una rappresentazione della Calabria diversa, con la quale vogliamo dare un’immagine di una pratica millenaria che non è solo agricola, ma e soprattutto una pratica culturale e che speriamo si possa mantenere ancora per millenni».

(Da.Ma.) info@meravigliedicalabria.it





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