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Il Consiglio regionale della Toscana si appresta a esaminare in aula la Proposta di legge di iniziativa Popolare “Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019”, dopo il parere favorevole della Commissione sanità. Nell’ordine del giorno è previsto l’esame “degli emendamenti che comportano aumento di spesa o minore entrata”.
La proposta di legge, come noto, intende introdurre nella Regione un diritto all’erogazione di trattamenti di suicidio assistito, descritto come un diritto individuale e “inviolabile”, che “non può essere limitato, condizionato o assoggettato ad altre forme di controllo”. Per le prestazioni e i trattamenti di suicidio assistito è prevista la gratuità. L’art. 6 della proposta di legge contiene la clausola finale di invarianza: dalla legge non deriverebbero nuovi e maggiori oneri a carico del bilancio regionale.
Questo punto, però, meriterebbe un approfondimento specifico. Le procedure di suicidio assistito sarebbero a costo zero?
La giurisprudenza costituzionale (sentt. n. 110 del 2023, n. 84 del 2023, n. 64 del 2023, n. 57 del 2023, n. 48 del 2023)1
1 Cfr. Corte cost. sentt. n. 84 del 2023, p. 9 del Considerato in diritto; n. 64 del 2023, p. 5.1. del Considerato in diritto; n. 57 del 2023, p. 6.2.1. del Considerato in diritto; n. 48 del 2023, p.8.3. del Considerato in diritto è costante nell’affermare che “le leggi istitutive di nuove spese devono contenere un’esplicita indicazione del relativo mezzo di copertura e che a tale obbligo non sfuggono le norme regionali” (sent. n. 244 del 2020)2
2 p.5.4.1. del Considerato in diritto , ribadendo che “il legislatore regionale non può sottrarsi a quella fondamentale esigenza di chiarezza e solidità del bilancio cui l’art. 81 Cost. si ispira” (sent.n. 307 del 2013)3
3 p. 9.2. del Considerato in diritto . La clausola di invarianza finanziaria non può in ogni caso tradursi solamente in una mera clausola di stile (così Corte cost. sent. n. 82 del 2023, sent. n. 115 del 2012). La sent. n. 82 del 2023 ha specificato, inoltre, che nel caso in cui “la nuova spesa si ritenga sostenibile senza ricorrere alla individuazione di ulteriori risorse…la pretesa autosufficienza non può comunque essere affermata apoditticamente, ma va corredata da adeguata dimostrazione economica e contabile”, dal momento che è da dimostrare “l’attendibilità della copertura”.
La proposta di legge regionale in materia di suicidio assistito introduce, invero, nuove prestazioni e trattamenti “che costano” – stante la necessità dell’istituzione di una “struttura” all’uopo “dedicata” e della provvista ed assegnazione di personale, medico e paramedico, altamente qualificato, per fornire “supporto tecnico e farmacologico” e assistenza medica per il suicidio assistito. Manca una chiara ed espressa previsione del relativo mezzo di copertura, che, com’è noto, non può trovare compensazione sulla base della legislazione vigente, poiché, appunto, nuovo onere. La legge regionale, pertanto, anche sotto questo profilo presenta profili di illegittimità, dal momento che le norme regionali non possono sottrarsi alla fondamentale esigenza di chiarezza e solidità del bilancio di cui all’art. 81 Cost.
O, forse, dovremmo ritenere possibile e scontato che per la copertura finanziaria delle procedure di suicidio assistito si possa semplicemente attingere alle risorse destinate alle cure palliative e alla terapia del dolore?
Eppure, se di applicazione delle sentenze della Corte costituzionale si tratta (della sent. 242 del 2019 e della sent. 135 del 2024), si dovrebbero riconoscere due evidenti punti di partenza imprescindibili. Il primo è che le pronunce hanno escluso che possa rinvenirsi un diritto alla morte nell’ordinamento italiano, che, invece, tutela la vita come primo dei diritti, anche nella fragilità
(riconoscendo, a tal fine, una circoscritta area di non punibilità ma non un diritto a prestazioni, né alcun obbligo a procedere da parte dei medici).
Il secondo profilo che chiaramente si desume dalle sentenze è la priorità delle cure palliative rispetto ad ogni altro percorso di fine vita: solo la concreta erogazione di tali cure preserva e tutela la libertà e la dignità del paziente, tanto che sarebbe un “paradosso” prevedere procedure di suicidio assistito senza prima garantire un effettivo accesso a percorsi di cure palliative e terapia del dolore. Si legge nella sentenza n. 135 del 2024 che “deve essere confermato lo stringente appello, già contenuto nella sentenza n. 242 del 2019 (punto 2.4. del Considerato in diritto), affinché, sull’intero territorio nazionale, sia garantito a tutti i pazienti…una effettiva possibilità di accesso alle cure palliative appropriate per controllare la loro sofferenza, secondo quanto previsto dalla legge n. 38 del 2010, sul cui integrale rispetto giustamente insiste l’Avvocatura generale dello Stato”, assicurando, innanzitutto, “la previsione delle necessarie coperture dei fabbisogni finanziari”.
Sarebbe, anche in questo caso, un paradosso prevedere prestazioni e trattamenti gratuiti di suicidio assistito attingendo a quelle (poche) risorse previste per le cure palliative, le stesse che si ritiene con urgenza e necessità di aumentare.
Nella Relazione che accompagna la proposta si afferma che il suicidio assistito sarebbe ormai un diritto sancito a livello nazionale tramite la sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019, rientrante nelle materie di potestà concorrente ex art. 117, terzo comma.
Ma il suicidio assistito è un atto (definitivo ed estremo) di disposizione della vita, che è il presupposto e la matrice prima di ogni altro diritto inviolabile, anche di quello alla salute. La disciplina, pertanto, rientra in due materie di competenza esclusiva statale: l’ordinamento penale e l’ordinamento civile, di cui all’art. 117 Cost., secondo comma, lett. l).
La sent. n. 262 del 2016 del Giudice delle leggi – con la quale si sono dichiarate costituzionalmente illegittime due leggi regionali della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in tema di disposizioni anticipate di trattamento sanitari e di trapianti – ha ricordato che quando si incide “su aspetti essenziali della identità e della integrità della persona” si necessita di uniformità di trattamento sul territorio nazionale, per ragioni imperative di eguaglianza, ratio ultima della riserva allo Stato della competenza legislativa esclusiva in materia di “ordinamento civile”, disposta dalla Costituzione.
In quell’occasione la Regione aveva sostenuto che la legislazione regionale era volta a offrire un “servizio meramente ancillare alle prestazioni ordinariamente erogate a carico del servizio sanitario regionale”, di carattere organizzativo e amministrativo, mantenendosi, così, “nell’ambito della competenza legislativa e amministrativa regionale per la tutela della salute e della relativa organizzazione dei servizi pubblici”. Invero, come emergeva dalla disamina dei contenuti, la legislazione regionale apprestava una nuova disciplina organica e puntuale, con una regolamentazione che attribuiva un rilievo pubblico alle manifestazioni di volontà. La Corte ha, pertanto, rinvenuto, una interferenza nella materia dell’«ordinamento civile», attribuita in maniera esclusiva alla competenza legislativa dello Stato dall’art. 117, comma secondo, lettera l), Cost.
Oggi l’iter della proposta di legge regionale in materia di assistenza al suicidio si è già concluso in alcune Regioni che hanno riconosciuto l’incompetenza dei Consigli Regionali, in una materia riservata esclusivamente al Parlamento nazionale; in altre Regioni è ancora in corso: i promotori pongono la prospettiva sul piano meramente organizzativo di un diritto a prestazione che si ritiene già riconosciuto, tanto che si inserisce la clausola di invarianza finanziaria.
Invero, anche in questo caso, come nel caso del 2016 che ha riguardato la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, non si parla di mera organizzazione ma di un diritto all’erogazione di prestazioni gratuite di suicidio assistito da parte del SSN, qualificato come inviolabile – ma in realtà non previsto dal Legislatore nazionale né, tanto meno, dalla Corte costituzionale -, in grado di incidere su aspetti essenziali della identità e della integrità della persona: e, cioè, sulla vita stessa.
Francesca Piergentili
Avvocato e docente di Diritto costituzionale nell’Università Europea di Roma
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