Crisi delle vendite? È colpa dei prezzi

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Altro che futuro a emissioni zero, per il mercato dell’auto il 2024 è stato un annus horribilis. In Italia le immatricolazioni sono state 1.558.704, -0,5% rispetto al 2023, di cui 452.615 di Stellantis, che ha perso il 9,9%. Non che vada meglio nel resto d’Europa. Perfino Tesla, l’anno scorso, ha registrato il primo storico calo delle vendite, fermandosi a poco meno di 1.800.000 veicoli (-1,1%). Tutta colpa della transizione affrettata verso i veicoli elettrici, ancora molto costosi e poco interessanti per i consumatori? In parte sì, anche perché le infrastrutture di ricarica sono ancora poco diffuse e gli incentivi all’acquisto sono decisamente insufficienti (i 240 milioni di euro stanziati in Italia per il 2024 sono andati esauriti in sole 9 ore). A mettere i bastoni tra le ruote ai costruttori europei non ci si è messa solo la Cina, molto più competitiva sulla mobilità elettrica, ma ora anche Donald Trump con la sua politica protezionistica che minaccia dazi sui prodotti Ue. Forse, però, sta cambiando anche la mentalità delle nuove generazioni, che non vedono più l’auto come un mezzo indispensabile per la mobilità né, tanto meno, come status symbol.

«Le radici del problema sono molto più antiche – spiega Andrea Poggio, esperto di mobilità, già responsabile del settore mobilità sostenibile di Legambiente –. Nel 2000 il prezzo di un’utilitaria era intorno agli 11 mila euro; ora, al netto di eventuali incentivi, il costo è salito sui 20 mila euro. Benzina e gasolio sono passati da 1 euro al litro a 1,7 euro circa, quindi anche qui c’è stato un sostanziale raddoppio. Il reddito medio degli italiani, invece, è fermo al 1995. Ovvio che si comprano meno veicoli nuovi: costano di più e costa di più muoversi in automobile. Ed ecco perché il mercato dell’usato è cresciuto e, allo stesso tempo, si tende a sfruttare l’auto meno rispetto al passato».

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Andrea Poggio, tra i fondatori di Legambiente di cui è stato presidente lombardo, ne è responsabile del settore mobilità sostenibile e stili di vita in segreteria nazionale. Ha diretto «La nuova ecologia» ed è autore di «Vivi con stile» (2007), «Viaggiare leggeri» (2008), «Le città sostenibili» (2013). Ha dato vita al primo servizio di car sharing a Milano.

Che ruolo gioca, in tutto questo, la transizione all’elettrico?

«L’auto elettrica è solo un’aggravante. I costi della mobilità pesano sulle famiglie che, quindi, si trovano a dover pagare anche i costi della transizione verde. L’Italia è il Paese europeo dove il 70% del parco auto viene acquistato dalle famiglie e il restante 30% è aziendale o a noleggio. In Germania questo rapporto è ribaltato: il 60-70% è aziendale o a noleggio. Peccato che il nostro sia il Paese europeo che, insieme alla Grecia, ha lo stesso reddito del secolo scorso, mentre i prezzi sono aumentati come in Germania, in Inghilterra e in Francia, quindi sulle spalle delle famiglie italiane grava di più il peso della mobilità. Infatti, comprano meno auto, non solo meno auto elettriche».

In Europa si sta cominciando a parlare di una possibile revisione o addirittura della revoca dello stop alla produzione di motori endotermici dal 2035.

«Siamo realistici. Il principale mercato automobilistico mondiale è la Cina, il secondo l’Europa, poi gli Stati Uniti. Nel 2024 in Cina il numero di auto elettriche vendute ha superato il numero di quelle endotermiche. Ergo, il mercato va in questa direzione».

I giovani, però, non subiscono il fascino dei motori come i loro genitori.

«I giovani d’oggi, ma non solo loro, se ne hanno la possibilità e, soprattutto, se vivono in città, rinviano l’acquisto dell’auto, anche perché non hanno un reddito, e usano quella dei genitori, rinviano persino la patente: l’età media prima era 18 anni e mezzo, adesso è 21 anni. In città si impara a guidare anche più tardi, a volte perfino a 30 anni. E spesso, pur di non doversi spostare in macchina, i giovani cercano un lavoro vicino casa».

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Si direbbe una scelta di vita…

«Ovviamente dipende anche dalle esigenze personali e da dove si vive. La mia generazione aveva il mito del motorino, ora si punta alla e-bike o al monopattino. Un ragazzo disposto a spendere 1.000 euro per un cellulare di ultima generazione non è disposto a pagarsi il costo della scuola guida. Non è neppure una questione di sostenibilità, ma di costi. Comunque, si fanno delle scelte: una volta si usciva in auto con la fidanzata, oggi, invece, è più appetibile avere uno smartphone o fare dei viaggi all’estero. Però ci sono differenze geografiche enormi: questo è vero a Milano, a Roma o anche a Bergamo, non altrettanto nella Bassa bergamasca, sugli Appennini o in Sicilia, perché non ci sono valide alternative all’uso dell’auto privata».

Continuare a basarsi su un modello di mobilità che ruota attorno all’auto privata ha ancora senso?

«Purtroppo i servizi per i pendolari non funzionano, neppure in Lombardia: a ritrovarsi danneggiate, quindi, sono proprio le fasce più deboli, cioè i giovani e chi non può permettersi l’auto. Un sondaggio di Ipsos e Legambiente sulle conseguenze dei costi o dei disservizi della mobilità ha dimostrato che, negli ultimi tre anni, il 28% degli intervistati ha rinunciato a occasioni di lavoro e il 19% – soprattutto anziani – a cure e visite mediche, mentre il 17% ha perso opportunità di studio e il 25% occasioni di socializzazione.

Questo è un indicatore drammatico, perché predice quale futuro stiamo preparando per il nostro Paese: vuol dire che i servizi, anche di mobilità, rischiano di essere sempre più sulle spalle delle famiglie. È come se l’80% delle cure mediche non fosse coperto dal servizio sanitario nazionale, ma fosse a carico delle famiglie: ogni anno gli italiani sono costretti a percorrere in auto l’80% dei chilometri necessari e solo il 20% con il trasporto pubblico. Parliamo tanto di mobilità elettrica, abbiamo già la soluzione pronta, perché i mezzi pubblici già oggi sono per una buona metà elettrici. L’Italia, invece, ha deciso di disinvestire sul trasporto pubblico. E questo aumenta le disuguaglianze, proprio perché si producono auto sempre più care, non solo le elettriche: vanno bene per chi può permettersele».

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Quindi, secondo lei quale sarà futuro della mobilità?

«L’Europa ha già scelto la propria strada. Una mobilità sostenibile non deve essere solo appannaggio di persone benestanti, ma deve essere alla portata di tutti.

È da costruire eliminando la proprietà del veicolo: oggi si può usare un’auto elettrica a Milano in car sharing con un costo addirittura inferiore a un veicolo con motore termico. Volendo, poi, ci si può muovere con una bicicletta a pedalata assistita, magari pieghevole, da trasportare sul treno».

Non si potrebbero considerare alternative altrettanto valide rispetto all’elettrico?

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«Ci sono ma, al momento, sono tutte più costose. I carburanti artificiali in questo momento costano molto di più, senza contare che riducono solo parzialmente le emissioni di anidride carbonica. Va da sé che pagare il doppio per avere una riduzione di emissioni solo del 50% non vale la pena. Non ha senso sprecare il biometano per le auto private: molto meglio la mobilità elettrica. Il biometano, invece, ha un ruolo molto interessante se usato per l’autotrasporto pesante o le navi: per i camion è un’alternativa molto più conveniente rispetto al gasolio, per le navi alla nafta».

Anche la ricarica elettrica, però, è davvero green solo se l’energia viene da fonti rinnovabili.

«In Italia l’energia elettrica si produce già per il 40% da rinnovabili, in Germania per il 60%… Certo, si può e si deve fare meglio, ma non è una buona scusa per restare ancorati ai combustibili fossili. E se in questo momento l’energia elettrica costa di più è perché è aumentato il prezzo del gas. Appigliarsi a questo argomento significa prendere una di quelle scorciatoie che fanno comodo ai politici».

Il problema reale dell’elettrico è che non ci ancora abbastanza infrastrutture per la ricarica. Infatti, nei due Paesi dove sono presenti più colonnine, Germania e Olanda, la quota di mercato delle auto elettriche è più alta.

«È vero, ce ne sono ancora troppo poche. Ma sono poche in rapporto al numero di auto elettriche che saranno presenti in Italia tra cinque o dieci anni, non in rapporto a quelle attualmente in circolazione. In questo momento in Italia il rapporto tra auto e colonnine di ricarica è il più vantaggioso d’Europa: ne abbiamo un po’ meno della Germania che, però, ha cinque volte più auto elettriche circolanti dell’Italia. Purtroppo nel nostro Paese c’è una presa di posizione contro le auto elettriche. In Europa, dove, invece, tutti hanno capito che il futuro è elettrico, c’è piuttosto ancora un problema di gap di prezzo d’acquisto: infatti, a comprare l’auto elettrica sono più imprese che privati ma, siccome sono sempre più diffuse le infrastrutture di ricarica in azienda o a casa, il costo del veicolo elettrico viene ammortizzato nel tempo pagando molto meno la ricarica. Ma se vogliamo parlare davvero di sostenibilità, allora dovremmo smetterla di parlare solo di automobile: la mobilità elettrica è composta da micromobilità e mobilità di vicinato. E, soprattutto, dovremmo puntare sul trasporto pubblico, dove in Italia la transizione è già avanti ma rischia di perdere il vantaggio acquisito. La sostenibilità, poi, non è solo ambientale, ma anche sociale, perché se alla base di tutto non c’è la tutela della qualità della vita e del benessere, qualunque sfida diventa inutile».

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