Trasformare la crisi in crescita: la storia di Linda

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Linda aveva sempre vissuto la sua vita con dedizione e impegno. A 35 anni, insegnante di scuola elementare, si trovava però in un momento difficile. Da qualche settimana, qualcosa dentro di lei sembrava essersi spento. Si sentiva vuota, distante da tutto, come se la vita le scivolasse addosso senza lasciarle alcuna emozione.

Tutto era cominciato dopo una semplice influenza. Una tachipirina presa per alleviare la febbre aveva scatenato una reazione fisica inaspettata: tachicardia, formicolii, un senso di panico opprimente. Da quel momento, nulla era più stato lo stesso. Il senso di angoscia e la stanchezza perenne l’avevano costretta a interrompere il lavoro. Cercando un appiglio, aveva parlato con un’iridologa, con la sua amica di sempre e perfino con la farmacista. Ma la sensazione di estraneità da se stessa e dal mondo continuava a tormentarla.

Nel primo incontro, Linda raccontò la sua storia con un filo di voce, tenendo stretta la borsa sulle gambe. “Non sento più niente, faccio le cose in automatico, senza emozioni”, disse con tono spento. La sua vita, fino a quel momento, era stata scandita da eventi dolorosi che l’avevano segnata: la perdita dei nonni in adolescenza, la delusione amorosa che l’aveva costretta a cambiare città, il rapporto conflittuale con la madre. Una madre che, oltre a soffrire di un disturbo importante, sembrava incapace di trasmetterle sicurezza. E ora era lì, a vivere con lei, nel tentativo di aiutarla a superare la crisi.

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Il percorso terapeutico fu un intervento mirato per modificare le percezioni e le reazioni automatiche di Linda. Il primo passo fu interrompere il circolo vizioso del rimuginio, proponendole di osservare il mondo con occhi nuovi, come farebbe un antropologo. “Voglio che descrivi ciò che accade intorno a te come se fosse uno studioso che osserva una tribù sconosciuta”, le dissi. Le fu assegnato il compito di descrivere dettagliatamente ciò che accadeva attorno a lei, senza lasciarsi trascinare dalle sue emozioni. Inoltre, le chiesi di annotare i suoi stati d’animo in un diario per prendere consapevolezza della frequenza e dell’intensità dei momenti critici.

Un altro intervento fondamentale fu la tecnica della “prescrizione del sintomo”: invece di contrastare il panico, le suggerì di provare deliberatamente a evocarlo in momenti precisi della giornata. “Prova a stabilire un momento in cui deciderà di avere paura”, proposi con tono ironico. Questo paradosso ridusse il suo potere su di lei, facendo diminuire gradualmente la sua intensità.

Nelle sedute successive, qualcosa cominciò a cambiare. Linda raccontò di alcuni momenti di sollievo, brevi attimi in cui sentiva di poter tornare a vivere. “Domenica scorsa, mentre camminavo per strada, ho recitato il rosario con una sensazione di energia mai provata prima”, mi disse con un lieve sorriso. Le enfatizzai l’importanza dell’azione per sbloccare la sua situazione: invece di attendere di sentirsi meglio per riprendere il lavoro, le “suggerii” di tornare subito, con piccoli passi. Inoltre, le chiesi di immaginare se stessa tra sei mesi, completamente fuori da questa fase buia, e di descrivere dettagliatamente come sarebbe stata la sua vita. Questo esercizio le permise di iniziare a proiettarsi verso un futuro positivo.

Nella terza seduta, Linda si presentò con un sorriso. Sentiva di essere sulla strada giusta. Aveva trascorso una giornata intera con il suo gruppo di teologia e per la prima volta da mesi si era sentita parte di qualcosa. Sua madre, che era rimasta con lei per tutto quel tempo, finalmente tornò a casa. Linda voleva riprendersi la sua indipendenza.

Per consolidare i progressi, venne introdotta una nuova strategia: il principio del “think little and learn by doing”. Linda fu invitata a dedicarsi a piccoli piaceri quotidiani senza analizzarli troppo, imparando a lasciarsi trasportare dalle esperienze senza il peso dell’autovalutazione costante. “Mi sono concessa un pomeriggio intero per andare al cinema, cosa che non facevo da anni”, mi disse con entusiasmo. Un’altra tecnica utilizzata fu la risignificazione del suo malessere, che le permise di vedere il suo percorso come un’opportunità di crescita e non come una sofferenza insensata.

Alla fine del percorso, non era più la stessa persona che si era presentata alla prima seduta. Aveva imparato a conoscersi meglio, a lasciar andare il bisogno di perfezione e a concedersi momenti di leggerezza. A distanza di sei mesi e poi di un anno, tornò per due incontri di follow-up. “Non ho più paura di impazzire”, mi disse con sicurezza. Il suo volto era sereno, le sue parole piene di vita. Non c’era più ansia, né quella sensazione di vuoto che l’aveva tormentata. Era riuscita a trasformare la sua crisi in un’opportunità di crescita.

Guardando indietro, capì che la sua forza era sempre stata lì, nascosta sotto le paure e le insicurezze. Non aveva fatto altro che riscoprirla, un passo alla volta.

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Co-Direttore dell’Istituto ICNOS, co-Founder Italian Center for Single Session Therapy, studia e pratica le Terapie Brevi dal 1999.
Direttore del Centro APIS, Servizi di riabilitazione per l’età evolutiva.
Tra i suoi libri: “Terapia a seduta singola. Principi e Pratiche” (con F. Cannistrà, tradotto in inglese e giapponese), “Terapia Breve Centrata sulla soluzione” (con F. Cannistrà)



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