Lotta alla corruzione, in Italia una parabola discendente: è ora di rimboccarsi le maniche

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di Enrico Carloni*

Stando ai dati e agli indicatori (di percezione di corruzione, questione su cui tornerò brevemente) di Transparency International, l’Italia “perde” due posizioni e si classifica ora in 52esima posizione, nella parte sinistra di una graduatoria che si apre come di consueto con i paesi dell’area scandinava (Danimarca e Finlandia), Singapore, la Nuova Zelanda. Una classifica che si riferisce a 180 paesi, dove le ultime posizioni sono riservate a Sud Sudan, Somalia, Venezuela e Siria. Stati fragili o “falliti”, questi ultimi, dal contesto sociale ed economico critico.

Scorrere la classifica permette di cogliere bene il rapporto stretto che intercorre tra integrità e trasparenza da un lato e qualità della vita e tutela dei diritti umani dall’altro, a dimostrazione del fatto che la corruzione non incide solo sulle finanze pubbliche ma intacca direttamente i diritti fondamentali delle persone e sulla tenuta delle istituzioni.

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Forse più significativo collocare l’Italia inquadrandola nel contesto europeo, dove il problema non è tanto il fatto che l’Italia si collochi nelle posizioni di coda nella Ue (a stretto contatto con la Polonia, comunque avanti a Croazia, Slovacchia, Grecia, Romania e Bulgaria, anch’esse in peggioramento), quanto la distanza che rimane rispetto ai paesi dell’area centro-occidentale. Questo nonostante un diffuso peggioramento che attraversa i diversi paesi: Belgio, Germania, Francia, Spagna, Portogallo vedono tutti peggiorare la propria posizione e i propri dati, come anche gli Stati Uniti.

Come in una matrioska, il problema italiano si inserisce dunque in un problema che è (non solo, ma soprattutto) europeo. Questo, mentre è chiara la tendenza al miglioramento in altre aree geografiche, in particolare in Asia. L’attesa direttiva europea anticorruzione, ora in corso di finalizzazione, appare dunque una risposta tanto più necessaria se osserviamo i dati raccolti da Transparency International.

L’indice di percezione della corruzione, basato su indagini e interviste rivolte a esperti e stakeholder (e non fondato su una “percezione del cittadino medio”, fuorviato dalla lettura di giornali scandalistici, come a volte si cerca di far credere), è considerato a livello internazionale un indicatore rilevante e affidabile, sia pure non perfetto: tutto il discorso sulla misurazione della corruzione è d’altra parte complesso e controverso, trattandosi di una tipologia di reati per loro natura “nascosti”, che è difficile rilevare se non grazie ad errori commessi da corrotti e corruttori o grazie alla capacità investigativa delle strutture di controllo (da noi, le procure e le forze di polizia).

A colpire, nel caso italiano, è soprattutto l’emergere di una tendenza – che peraltro non sorprende certo chi ha seguito da vicino le riforme e l’azione delle istituzioni di controllo e contrasto della corruzione: la tendenza è quella di una parabola discendente, che segue ad un decennio di graduale, costante, progressivo miglioramento.

In effetti, nella ingenerosamente criticata stagione dell’anticorruzione, segnata dal protagonismo dell’Autorità anticorruzione durante la Presidenza di Raffaele Cantone, caratterizzata dal susseguirsi di riforme orientate a rafforzare le strategie di prevenzione, a contrastare i conflitti di interesse, a migliorare la trasparenza pubblica – pur a fronte dei limiti dei diversi meccanismi posti in essere – si è diffusa l’idea che nel sistema pubblico fossero sempre più presenti “anticorpi” e che vi fosse un’azione, forse confusa ma apprezzabile, al loro irrobustimento. Questa idea si è persa, in termini che mi appaiono ben più sconfortanti di quanto emerga oggi dai dati di Transparency.

La trasparenza è stata svuotata dal combinarsi della perdita di attenzione politica e dell’azione del Garante della privacy. L’azione di Anac appare oggi sempre più debole e sempre meno oggetto di attenzione da parte del quadro politico e istituzionale. La riforma Nordio ha reso non più criminalizzabile l’abuso di potere e ha indirettamente svuotato tanto il reato di traffico di influenze quanto la stessa disciplina dei conflitti di interesse.

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Da ultimo, ma le vicende sono recenti e sfuggono ancora alla rilevazione di Transparency (i cui esiti sono diffusi oggi ma sono il prodotto di indagini condotte in precedenza), lo Stato di diritto sembra essere messo in discussione nei suoi fondamenti più di quanto fosse lecito attendersi.

La parabola dell’anticorruzione è dunque di fronte a noi: una fase ascendente, nel decennio che va dal 2012 (anno di approvazione della legge anticorruzione) al 2022, un arrestarsi della dinamica di miglioramento nel 2023, un primo declino nel 2024 che sembra solo l’anticipazione di una tendenza destinata a svilupparsi in senso uguale e contrario a quanto visto negli anni passati.

Non resta che rimboccarsi le maniche e provare a riprendere le fila del discorso: trasparenza, integrità, rispetto delle regole sono componenti essenziali della qualità delle istituzioni, precondizioni per la garanzia dei diritti. Il campanello d’allarme che ricaviamo oggi dalla lettura del CPI deve risuonare in Italia e in Europa, sperando che vi siano ancora cittadini attenti, organizzazioni sensibili, e istituzioni in grado di reagire di fronte a questi segnali: tutte insieme capaci di rimettersi all’opera, ricominciando dall’inizio.

*Professore ordinario di diritto amministrativo, UniPg

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