Schifani celebra i numeri del turismo in Sicilia, ma si scorda di Agrigento e della siccità

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Notizia. Anche Renato Schifani è stato giovane, un tempo. Faceva pure immersioni subacquee. «E mi ricordo – si lascia andare il governatore della Sicilia – che quando arrivava lo scirocco, in estate, sapevamo che durava tre giorni, poi il maestrale lo spazzava via. E noi potevamo tornare in mare». Adesso invece Schifani non si immerge più e soprattutto lo scirocco, quando arriva, si stabilizza sull’isola, rendendo le estati torride e il clima insopportabile. «Ormai d’estate è come se fossimo in Africa – dice il presidente – ed è un problema».

Anzi, è il problema per eccellenza per il presidente della Sicilia che si è concesso a poche domande, e tanti ricordi, alla Bit, la Borsa Internazionale del Turismo di Milano, edizione 2025, dove, con l’allegra e godereccia pattuglia della Regione, tra un’arancina e una cassata, è venuto a decantare i successi del suo governo nella promozione dell’Isola. D’altronde, il 2024 ha confermato la crescita del settore in Sicilia con oltre 21,5 milioni di presenze e un incremento del 4,2 per cento rispetto all’anno precedente. «Particolarmente significativo è stato l’aumento degli stranieri, che segnano un +11,1 per cento ben al di sopra del +3,7 per cento registrato a livello nazionale» riassume il Presidente. Schifani snocciola numeri mirabolanti, tra presenze in aumento, indici di gradimento che schizzano alle stelle, e solo un cruccio: il caldo, il troppo caldo «Dovremmo fare qualcosa – pensa ad alta voce il presidente – per evitare di fare sentire caldo ai turisti, ma cosa… ?»

Già, cosa, si chiede il presidente, e la sua immagine preoccupata viene riflessa a destra, a sinistra, su, già, dappertutto. Lo stand della Regione è infatti è tutto un gioco di specchi, grande e involontaria metafora della politica siciliana. Sul palco si alternano dirigenti e assessori, fino al gran finale con il presidente che dice che è un evento, per lui, fare una conferenza fuori dalla Sicilia, perché è sempre a Palermo per lavorare. È tutto un ripetersi di frasi fatte, sul turismo che porta «lavoro e ricchezza», e che aumenta il Pil dell’isola. Turismo a tutti i costi, dunque, anche nell’isola che affronta il gran caldo e la siccità, la fragilità del suo territorio, i tanti nodi irrisolti.

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Il fiore all’occhiello del nuovo corso del turismo a tutti i costi e la promozione della Sicilia anche d’inverno. La parola d’ordine è, pertanto, destagionalizzare, creare un appeal che vada oltre il mare e l’estate, ma puntare anche ai mesi tradizionalmente di bassa stagione, novembre e febbraio, ad esempio. E’ per questo che la Regione ha ideato un pacchetto di aiuti agli operatori, l’ennesimo, perché tutto d’altronde si regola con i soldi dell’Europa e i contributi di Mamma Regione. E che ricorda molto il flop di See Sicily, la misura finanziata dalla Regione con settantacinque milioni di fondi europei per erogare voucher per i turisti e che restò in mano a poche strutture alberghiere, creando anche un buco da dieci milioni di euro.

E poi eventi, naturalmente grandi, perché quelli piccoli non bastano più. Carnevali, Pasque, Coppe equestri. Assume tutto un contorno di gigantismo, che è naturale se si considera che la Bit, tornata quest’anno a Rho, si va restringendo, con soli due padiglioni, Italia e resto del mondo, mentre lo stand della Sicilia progressivamente si va ingrandendo e sembra voler cannibalizzare tutto, quest’isola accentratrice che sublima ogni narrazione. C’è chi ha il mare, chi la storia, chi il buon cibo, chi la montagna, chi i grandi vini. Solo la Sicilia ha tutto. Ed è proprio per questo che la presenza siciliana alla Bit fa impressione non solo per scenografia ma per pattuglia. Ci sono tutti. Sindaci, assessori, deputati, dirigenti, chef. Bisogna farsi vedere. E, soprattutto, bisogna vedersi. «La verità è che la Bit – racconta un deputato di Fratelli d’Italia – per la promozione dell’isola non serve a molto, ma per noi è l’unica occasione di vederci e di parlare, a Palermo è impossibile».

In effetti, tra la degustazione di un passito e il buffet delle arancinette di vero riso siciliano a un certo punto i big scompaiono tutti. Sono in segretissima riunione, nel retrobottega dello stand, tra i cappotti buttati a terra e i cestini della differenziata, per decidere le sorti della Regione e le loro. E la riunione è proficua: Renato Schifani addirittura incassa un si per una sua ricandidatura nel 2027. E lo conferma lui stesso qualche minuto dopo, sorridendo, a modo suo: «Abbiamo problemi strategici che postulano l’esigenza di una continuità» dice, brindando con del rosé siciliano.

C’è il giovane Sindaco di Ferla, che bisticcia con lo smartphone per registrare l’ennesima storia e raccontare l’ennesimo successo – perché la promozione turistica dell’isola è innanzitutto la promozione del successo di chi per la crescita turistica dell’isola – c’è il sindaco di Lampedusa, ultima isola d’Italia, ci sono il sindaco di Palermo e quello di San Vito Lo Capo, che ascolta esterrefatto Schifani dire, nell’ennesimo talk (una volta si chiamavano tavole rotonde), questa volta su parchi e riserve in Sicilia, dire che la Riserva dello Zingaro effettivamente è bella, ci mancherebbe, ma non è possibile che per raggiungere San Vito Lo Capo da Palermo bisogna fare «il giro delle sette chiese». Ci vorrebbe una strada, bella dritta.

Dimentica, il presidente, che la Riserva dello Zingaro, prima in Sicilia, nacque proprio quando un gruppo di cittadini, nel 1976, si oppose alla realizzazione di quella super strada che avrebbe devastato uno dei tratti di costa più belli della Sicilia. Resta in sordina Agrigento, Capitale Italiana della Cultura. C’è un po’ di imbarazzo. Lo stesso Schifani omette di parlare di Agrigento nella sua conferenza stampa. E certo, hanno trasformato una festa in uno psicodramma. Daniela Santanchè, probabilmente alla sua ultima apparizione pubblica da ministra del Turismo, butta acqua sul fuoco: «Dobbiamo essere orgogliosi di Agrigento».

Alla vigilia della Bit si è consumata un’altra rivoluzione nella tormentata gestione del dossier: adesso c’è un prefetto a capo dell’organizzazione, e dalla Regione assicurano soldi (non a caso, forse, è stata anche presentata una moneta celebrativa da cinque euro) e coordinamento, «ma – dice Schifani – serve una maggiore organizzazione». Prossimo banco di prova, tra meno di un mese, la settantasettesima edizione della “Sagra del mandorlo in fiore”.

In nome del turismo, la Regione ha soldi, soldi per tutti. A cominciare dalle case di produzione cinematografiche, per registrare serie tv e film in Sicilia. Centottanquattro milioni di euro vale invece il bando per la riapertura, dopo un decennio, delle terme di Sciacca e di Acireale, secondo un progetto di partenariato pubblico-privato per aprire quella che Schifani chiama «la via del benessere in Sicilia».

Altri centotrentacinque milioni di euro sono destinati ai gestori di hotel e complessi turistici per ammodernare o ampliare le strutture. Due milioni, invece, per il «turismo esperenziale». E questa fretta di spendere cozza con il rovescio della medaglia, la lentezza esasperata della Sicilia nell’utilizzo dei fondi del Pnrr. A due anni dalla scadenza, prevista nel 2027, è stato speso solo il tredici per cento dei fondi a disposizione dell’isola, pari a 17,6 miliardi dell’euro. Peggio ha fatto solo la Calabria. E, secondo le stime, quattro progetti su dieci rischiano di non essere realizzati in tempo.

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E infine, c’è il finanziamento che dovrebbe calmare le polemiche sulla miriade di mance e mancette a sagre, processioni e fiere che hanno costruito una gigantesca rete clientelare a uso e consumo di maggioranza e opposizione. La Regione annuncia un bando, finalmente, che è un po’ un paravento. Solo seicento mila euro per festival e rassegne: la vera ricchezza passa altrove. Schifani stesso qualche mese fa aveva detto che il sistema clientelare di distribuzione di risorse in finanziaria per la promozione turistica di piccolo cabotaggio doveva finire.

A chi gli fa notare che tutto è ancora in piedi come prima, risponde seccato da ex presidente del Senato. E ricorda che si è sempre fatto così. Cita addirittura i «voulevant», come li chiama lui, del parlamento del Regno, che servivano proprio a sbloccare i provvedimenti di legge grazie a una serie di mance e mancette. «Con la differenza – dice – che in Parlamento ci sono alcune misure, come la fiducia, che possono aggirare il problema e mettere un punto, alla Regione, invece, il governo è nelle mani dei deputati. Tutto passa sempre da loro».

Insomma, cambiamo tutto, ma non cambia nulla. Mai dichiarazione fu più consona dentro lo stand tappezzato di specchi. Fuori, le mille Sicilie si sfidano a colpi gastronomici per avere un maledetto turista in più. Ognuno ha un prodotto che più tipico non si può, ognuno reinventa qualcosa, dal cannolo al cuscus, dai biscotti al miele alla cassata. Vincono, a mio modesto parere, per quel che conta, le isole Eolie. Hanno inventato il cappero candito. Lo mettono nei cannoli, al posto del cioccolato: «Dà un senso di freschezza», dicono. Con il caldo torrido che ci aspetta, una buona notizia in più.



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