Produzione industriale in calo del 7,1% a dicembre 2024 e del 3,5% rispetto al 2023. Sono i dati diffusi dall’Istat nel report relativo all’ultimo mese dell’anno. L’indice destagionalizzato mensile cresce su base congiunturale solo per l’energia (+0,9%), riporta l’Istat, mentre cala per i beni strumentali, i beni di consumo (-3,3% per entrambi i settori) e i beni intermedi (-3,6%). La crescita riguarda esclusivamente l’energia (+5,5%), mentre ci sono marcate diminuzioni per i beni strumentali (-10,7%), i beni intermedi (-9,5%) e i beni di consumo (-7,3%).
Gli unici settori di attività economica che registrano a dicembre incrementi tendenziali sono l’attività estrattiva (+17,4%) e la fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (+5,0%). Flessioni particolarmente marcate si rilevano, invece, nella fabbricazione di mezzi di trasporto (-23,6%), nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-18,3%) e nella metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (-14,6%). Il 2024 si chiude con una diminuzione della produzione industriale del 3,5%.
Tra i principali raggruppamenti di industrie, solamente per l’energia si registra un incremento nel complesso del 2024. Nell’ambito della manifattura, solo le industrie alimentari, bevande e tabacco sono in crescita rispetto all’anno precedente, mentre le flessioni più marcate si rilevano per industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-10,5%) e fabbricazione di mezzi di trasporto (-11,3%).
Parla di «dati estremamente preoccupanti» il professor Francesco Orazi, docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro all’Università Politecnica delle Marche. Dati che evidenziano «una condizione molto disagiata della struttura produttiva del Paese, ma non sono una novità: siamo ormai al cospetto di una fase che ha accumulato diversi risultati negativi, sopratto nella produzione industriale».
A preoccupare, secondo Orazi, è «una certa sottovalutazione di questi risultati: si tende in qualche modo, soprattutto a livello politico a ‘svicolare’ e a sottovalutarne, anche colpevolmente l’entità».
L’esperto evidenzia la «distanza abbastanza clamorosa tra la reppresentazione degli andamenti economici di parte del governo» nazionale e «quella che è la realtà dei fatti». Un quadro di crisi della produzione industriale che per Orazi è determinato «da un lato da problemi di natura strutturale legati alla competitività complessiva del nostro sistema produttivo che purtroppo presenta dei grossi limiti, soprattutto a livello dimensionale e presenta anche una situazione molto poco rosea per quel che riguarda i cosiddetti servizi avanzati all’industria: i nostri sistemi di innovazione ristagnano in modo piuttosto evidente rispetto agli altri paesi europei pur non mancando esempi di eccellenze» anche «di natura tecnologica, ma puntiforme, perché non abbiamo la capacità di mettere a sistema in maniera integrata questo tipo di fattore».
Il sociologo dei processi economici punta il dito anche contro «il basso interesse istituzionale verso l’innovazione. In generale da svariati anni patiamo sia a livello interno che europeo dell’assenza quasi totale di una politica industriale credibile. Lo abbiamo visto, ad esempio, nel caso dell’automotive».
Orazi descrive un sistema produttivo europeo che deve fare i conti «con competitor molto agguerriti». L’Europa e l’Italia «devono ripensare la politica industriale» specie alla luce dei possibili dazi ventilati dal presidente degli Stati Uniti Trump. «L’Europa – spiega – è come un gigante fermo e invecchiato, senza una guida e una visione comune rispetto alle politiche industriali ma anche verso l’unità fiscale».
In una regione come le Marche a vocazione manifatturiera «la crisi dell’industria e la strisciante deindustrializzazione che ormai caratterizza la regione da oltre un decennio stanno mettendo» l’economia «sempre più alle corde con una serie di vertenze aperte» come quelle del distretto fabrianese. Le difficoltà, secondo Orazi, si «allargano anche alla struttura produttiva diffusiva locale di piccole e medie imprese che fanno sempre più difficoltà a mantenere una competitività. Le Marche sono in una dinamica di declino produttivo e demografico per il rinnovamento della classe imprenditoriale».
Orazi ricorda che «le Marche sono state declassate a livello di politiche europee da regione a sviluppo ordinario a regione in transizione, con meccanismi di rimeridionalizzazione, e le prospettive non sono brillanti».
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