Racconto di Rocco Giudice. Foto di Martino Ciano. “Artista: morte e vita eterna di un post-umano” è la narrazione di un ipotetico “individuo” che gioca con la produzione artistica di ogni epoca
Finalmente, mi sono deciso a visitare la mostra dell’artista che sta spopolando in questi giorni a livello globale. Fare notizia è una vecchia formula di marketing mai passata di moda: ma non basta, andava aggiornata anch’essa.
Occorre, perché una notizia funzioni come vettore promozionale, che metta assieme i molti frame di cui si compone l’immagine di un tempo come il nostro, che non ha più il senso del tempo, che ha rinunciato a quel che aveva perduto (be’, da tempo: apposta non è facile determinare quando), non diciamo la direzione di marcia, ma il senso di orientamento della storia in cui inserire il presente senza troppi traumi: così che esso abbia agio di contemplare con un colpo d’occhio la sua immagine allo specchio, anzi, le sue innumerevoli sfaccettature, come gli ocelli nel bulbo oculare di una mosca, riflesse nel Panottico multimediale da cui riverberano e con cui, lo sappiamo, il nostro ineffabilmente provvido sistema ci controlla a vista, anzi, ci assiste, ci ausculta, illumina, previene, soccorre e coopera per il nostro bene e insomma, ci spia.
L’unico ingresso di sicurezza al successo, per l’artista, è diventare il punto di convergenza di quante più possibili rubriche di cronaca, fare da collettore di trame di narrazione e dei canali dell’informazione riuniti. Diventare come il sistema per essere parte del sistema.
L’artista, il cui nome non ricordo, forse, per qualche scrupolo su cui non voglio indagare e comunque, non voglio ricordare, perché il rilievo del caso va oltre i limiti della vicenda in sé, non era mai uscito, nel pregresso, fuori dal suo angolo di prospezione, dall’orto di anonimo operatore di varie pratiche di intrattenimento in un panorama sovraffollato.
Fece parlare di sé, più che come autore di capolavori, per alcuni “atti dimostrativi”: partecipazione a un flash mob online contro la legge Dabaa (Defunzione A Beneficio Di Altri), che è un lusso, con quel che costa la clonazione di se stessi per copie tenute in sonno criogenico, così da garantire ai ricchi l’impunità, quando colpiti da condanne che prevedano restrizioni alla libertà o punizioni corporali.
Poi, rifulge l’occupazione di ager publicus mediatico, siti e piattaforme digitali di proprietà statale, che se ne accolla gestione e manutenzione; ancora, atti di sabotaggio di allevamenti di insetti, perché il veganismo sia imposto ope legis; volantinaggio virtuale alle sedute digitali del Parlamento Ristretto e del Praeasidium dell’Eunomia.
Sulla sua fedina penale spiccano altri reati contro il patrimonio pubblico e privato e attentati alla doppia personalità: furto di identità, essendosi spacciato in rete per un noto modello di I.A.; smercio di opere proprie come prodotti di una nota pittrice virtuale; stupro cibernetico di un avatar nella community online di Loka Lake; circonvenzione dell’ologramma di un venditore di antiquariato digitale (cd room, q-disk), non direttamente controllato dal titolare.
Insomma: un curriculum criminale di tutto rispetto, ma poca roba per entrare e installarsi nell’Olimpo dei caveau dell’Arte.
Dichiarandosi colpevole nella fase istruttoria e profondamente pentito, l’artista chiese alla corte che lo giudicava di poter proporre la pena da scontare, per cui aveva raccolto preventivamente un numero congruo di firme di varie espressioni della società civile: la pena alternativa sarebbe consistita nel prelievo di alcune cellule staminali dal suo codice generico registrato e depositato in modo farsi clonare la testa, solo quella, portata allo stadio anagrafico corrispondente di adulto grazie a un trattamento plastico avanzato, totalmente a suo carico (la somma è stata raccolta con una sottoscrizione, cui ha partecipato gente che non vedeva l’ora di divertirsi, quand’anche in effigie, per interposto clone).
La testa, alimentata da nutrienti essenziali e ossigenazione permanente tramite condotti che li scaricano nelle terminazioni cerebrali, sarebbe stata esposta con altre sue opere: ma esposta a parte, nella vetrina di una galleria nella principale arteria dello struscio cittadino. Ogni giorno, a orari fissi: dalle 9 alle 12 e dalle 17 alle 20, la vetrina sarebbe stata ritirata: e chiunque avesse voluto, avrebbe potuto sputacchiare, ricoprire di palle di sterco animale, sfregiare (severamente vietato usare acidi o liquidi infiammabili, armi da fuoco o a aria compressa e da taglio, laser, taser, ecc…: solo piccoli sassi, ciottoli, lattine, vuote o piene, uova, ecc… lo spettacolo deve continuare).
La testa clonata sarebbe stata convenientemente ripulita, detersa, disinfettata, ricucita ogni volta: al reo, medicalmente assistito, si sarebbero somministrati, con un trattamento ipodermico continuo, tutti i farmaci atti a tenerlo desto e a prova di collassi e altri incidenti affinché la prova non lo uccida e la sofferenza si prolunghi fino al termine prestabilito. La testa clonata sarebbe stata, ovviamente, connessa elettronicamente alla testa del reo confesso, condannato a giacere in un letto di contenzione per la settimana di espiazione, con pause di relax consentite nelle ore di esposizione e nel corso delle ore notturne. Tutto il dolore fisico, l’angoscia, la vergogna, l’incredulità di essere una testa senza un corpo, che si vede oltraggiata e seviziata in modo così atroce, sarebbero stati pressoché simultaneamente trasferiti nella testa del titolare.
Il tribunale ritenne ragionevole l’istanza e la accolse senza riserve: anzi, con elogi.
Io non vorrei contraddire una sentenza erogata da quella veneranda istituzione, cui tutti dobbiamo reverenza, non solo rispetto: soggezione, non solo obbedienza; devozione, non solo ammirazione. Ma, se, 1) le sentenze non si discutono, si rispettano; 2) la legge non si applica, si interpreta: allora, sarà consentito richiamarsi – non mi pronuncerò, certo, io, non spetta a me – all’opinione di taluni giurisperiti della scuola realista, provvisti di sufficienti titoli, cognizioni, esperienza e autorità per eccepire, riguardo la contraddizione fra 1) e 2): un vulnus mai sanato, per la coerenza della nostra civiltà sublime giuridica.
Pare, infatti, che non mancassero norme e paragrafi e commi per respingere la richiesta dell’artista, così da evitare una gogna cruenta. Comunque, avesse interessi artistici o di altro genere o vi ravvisasse il compimento di un’opera d’arte di legalità: o per oscure ragioni di principio, così da ritenere equo accogliere la proposta, la corte tribunalizia ha ritenuto di fare propria quella petizione, comminandola integralmente quale sanzione esemplare. Il primo caso in cui la clonazione viene utilizzata a fini giudiziari.
Non ero interessato alle altre opere di questo artista in cerca di notorietà. Ho atteso che sul maxi-schermo (davanti alla vetrina non c’era posto), collocato dalla municipalità nella piazza antistante, comparissero le immagini: cosa che avvenne puntualmente. La saracinesca, prima, la vetrina dopo, si sollevarono con una tempistica da suspense, così da consentire l’inserimento di piccoli spot pubblicitari.
La folla salutò con applausi e grida di giubilo quella testa avulsa, la faccia stravolta da un indicibile orrore. Io non ho resistito più di qualche secondo a quello spettacolo, che non descriverò: dire che era uno scempio terrificante, potrà bastare, mi auguro. La mostra, iniziata qualche giorno fa, si concluderà fra qualche giorno. Il successo è strepitoso.
Ci si può collegare con tutti i dispositivi informatici omologati da ogni parte del mondo per prenotare un turno attivo nelle lapidazioni a distanza. La direzione della galleria sta per dichiarare il sold out: l’artista verrà ricompensato doppiamente: riabilitazione civile e monetizzazione (in assegnati) pronta cassa. Nulla esclude altre forme di rendita con il ricorso a una procedura tanto innovativa, sempre che l’Ordine Dikaico autorizzi questi spin off.
Intanto, un nuovo caso si profila all’orizzonte civile e giuridico: si è fatta avanti Pumpkinberg, la nota casa di produzione di video-giochi, simulazioni cinematografiche, entertainment, e tanto altro. Vorrebbe l’esclusiva per una serie di film utilizzando cloni appositamente acquistati per riprodurre noti e meno noti casi di martirio e stragi storiche dal vivo. Pare che la concorrente, GaFa United, stia per presentare una proposta alternativa, non è chiaro in che termini. Staremo a vedere.
Non sarà uno spettacolo migliore di quello cui ho assistito anch’io, ho motivo di credere. Ma, tutto sommato, io sono un individuo biologico vecchia maniera, a percentuale umana variabile solo al 10%: mi si può accusare di conflitto di interessi morali. L’Ordine Dikaico potrebbe ritenere suo dovere intervenire. Potrei essere citato in giudizio come soggetto che ha sviluppato empatia non conforme. Un po’, devo confessarlo, la cosa mi preoccupa.
Ma devo dire anche questo: non so dove ci porterà, andare indietro così. Certo, dopo la Dabaa ci si può aspettare di tutto. L’idea del martirio, intanto, ci è davanti: la regressione è perfettamente mimetizzata, nell’ambiente digitale.
Ma, per quanto si possa andare indietro, non regrediremo mai, se non in una (approssimativa) simulazione digitale, al paradiso delle leggende dell’epoca aC (ante Computer) all’era del pC (post Computer o post Carbonio) o età del Silicio in cui ci troviamo: sarebbe come andare avanti procedendo all’incontrario: un controsenso. D’altra parte, perché escluderlo? In un mondo virtualizzato, la distinzione fra possibile e reale si assottiglia a vista d’occhio: tenerli aperti o chiusi, è lo stesso.
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