La fine della sostenibilità. Con Trump crolla anche l’ultima ipocrisia del capitalismo

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Sono state sufficienti un paio di settimane di Donald Trump alla Casa Bianca e ci siamo giocati anche la sostenibilità, ultima ipocrisia di un capitalismo che cerca sempre di rifarsi un’immagine decrepita con qualche trucco compassionevole e apparentemente progressista. Grandi imprese, multinazionali, leader dell’economia digitale, campioni della Silicon Valley e di Wall Street, tutti fanno a gara per abbandonare l’impegno verso la sostenibilità, dimenticano i giuramenti ambientalisti e cancellano pure i programmi contro le discriminazioni, niente più diversità & inclusione, bisogna pensare solo ai profitti e stop.

New York, manifestazione davanti alla sede di Tesla, a Manhattan. Sui cartelli immagini di Bezos, Zuckerberg, Trump e Musk Foto di Gina M Randazzo/ZUMA Press Wire)

BlackRock il più grande gestore di patrimoni al mondo, con una presenza significativa anche nel capitale delle principali imprese italiane, ha abbandonato l’alleanza globale delle società di gestione che lavorano per raggiungere la neutralità carbonica, la Net Zero Asset Managers Initiative lanciata nel 2021 allo scopo di ridurre l’emissione di Co2 e di migliorare le condizioni dell’atmosfera, perseguendo uno sviluppo sostenibile. La decisione di BlackRock non è isolata, segue quella di altri sei grandi gruppi bancari che hanno fatto marcia indietro.

La scorsa estate l’accordo contava più di 325 aderenti, per un totale di 57,5 trilioni di dollari in asset in gestione. Dopo la vittoria di Trump, hanno abbandonato il programma nomi come: Goldman Sachs, Wells Fargo, Citi, Bank of America, Morgan Stanley e JPMorgan Chase. Sono tutte istituzioni di primissimo piano del mondo finanziario internazionale la cui negazione del recente impegno ambientalista e sociale lascia trasparire la volontà di non disturbare o ostacolare la nuova amministrazione repubblicana. Ma certo la sorpresa più grande è quella di BlackRock e del suo leader Larry Fink che, negli ultimi anni, hanno orientato fortemente quel movimento ideale e finanziario verso scelte ambientaliste e sociali.

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Dalla pandemia un nuovo modello d’impresa

A partire dal 2020, in coincidenza con la pandemia, nelle lettere annuali di Fink ai mercati e ai top manager emergeva la necessità di una svolta profonda nella conduzione delle imprese e nella gestione degli investimenti, come se un rinnovato capitalismo, etico, solidale, efficiente volesse contribuire finalmente a sanare i guai del mondo. L’influenza di BlackRock è stata rilevante, anche per il peso finanziario che esercita, e molte imprese hanno preso seriamente il pensiero di Fink che in piena esplosione del Covid 19 spingeva le società verso un cambiamento basato sul rispetto dell’ambiente, la lealtà verso i dipendenti, la vicinanza alle comunità colpite dalla pandemia e dalle drammatiche conseguenze sanitarie ed economiche.

La strada della sostenibilità, sintetizzata nell’acronimo ESG (Environment, Social, Governance) ha beneficiato di un forte rilancio, è stata benedetta dalle Nazioni Unite, sostenuta ovunque (a volte, però, soprattutto a parole), ha registrato un successo culturale rilevante. La sostenibilità è diventata materia di studio, si sono moltiplicati corsi universitari e master, sono nati esperti, economisti, giornalisti focalizzati su questa disciplina. Per la verità appena un paio d’anni dopo, nel 2022, Fink si riposiziona, allenta la portata politica del suo messaggio, probabilmente per difendersi dalle critiche e dai duri attacchi di Trump e degli interessi di Wall Street più legati a una vecchia concezione della finanza secondo cui BlackRock avrebbe sposato una linea sensibile per i democratici tradendo i valori consolidati, tradizionali del mercato. Fink rettifica: “Ci concentriamo sulla sostenibilità non perché siamo ambientalisti, ma perché siamo investitori e fiduciari per i nostri clienti”.

Trump e i nuovi oligarchi

La svolta di oggi nasce e matura un paio d’anni fa, anche perché nel frattempo la guerra in Ucraina, accompagnata da altri conflitti locali, ha spalancato uno scenario a favore di una vecchia economia in cui l’industria della Difesa assume un rilievo straordinario, un campo solido, generatore di profitti e dividendi, senza tante storie e patemi etici. La corsa alle armi non piace a Papa Francesco (“Pazzi! Pazzi!” è la sua reazione), però alimenta bilanci record e rialzi da primato in Borsa per le imprese del settore, comprese le nostre Leonardo e Fincantieri, società saldamento controllate dallo Stato.

New York, proteste davanti a Tesla. Foto di Gina M Randazzo/ZUMA Press Wire

Si può notare, con qualche ironia se non vivessimo in anni tragici, che Leonardo predispone un articolato documento di sostenibilità mentre firma con la tedesca Rheinmetall un accordo strategico del valore di 20 miliardi di euro per una megacommessa di 280 “Main battle tank”, carri armati pesanti e 1000 cingolati più leggeri.

Oggi, dunque, si può constatare che la sostenibilità subisce un brusco arresto nel suo processo di diffusione tra le imprese. Le crisi geopolitiche, il riarmo totale, la prospettiva di quattro anni di Trump alla Casa Bianca (vuole la Groenlandia, rilancia petrolio e carbone, progetta di perforare l’Alaska, penalizza come è già successo in Texas e in altri stati repubblicani le società di asset management orientate agli investimenti green, alcuni gestori sono finiti sotto inchiesta perché violerebbero le leggi sulla concorrenza e favorirebbero un aumento dell’inflazione) non sono un buon viatico per un’economia che si vorrebbe sostenibile. Anche nell’Unione Europea la vocazione ambientalista smarrisce la sua forza, il Green Deal perde sostenitori e rischia un progressivo svuotamento, così come i processi di transizione di importanti industrie come quella dell’auto.

L’aria che tira

Finanza, Big Tech e anche l’industria tradizionale, in larghissima misura, si stanno adeguando alla nuova stagione. I nuovi oligarchi del capitalismo americano si sono immediati allineati agli ordini esecutivi della Casa Bianca e hanno riscoperto la loro vera natura, cancellando le illusioni che avevano lasciato trasparire con le loro passate scelte di responsabilità sociale e progressiste.

Mark Zuckerberg ha cancellato il fact checking in nome di un ritorno alle origini dei suoi media digitali e ha posto fine ai piani di diversità e inclusione del suo gruppo Meta. Amazon ha fatto lo stesso, Elon Musk non parliamone nemmeno.

Grandi imprese come Ford, Harley Davidson, Walmart, Jack Daniels avevano già anticipato le linee della Casa Bianca contro la tutela delle minoranze e dei diritti, abrogando i rispettivi programmi. Per finire Google ci ha messo del suo, cambiando pure la geografia: sulle sue mappe il Golfo del Messico è già diventato il trumpiano Golfo d’America. Questa è l’aria che tira.

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