Vandali anti-OGM hanno danneggiato il vigneto sperimentale dell’Università di Verona, a San Floriano in Valpolicella. Proprio lì, il 30 settembre, era stato piantumato, nell’ambito di un progetto sulle TEA, le tecniche di evoluzione assistita, secondo una sperimentazione simile a quella in Lomellina, al Brusone, questa volta relativa al riso, anch’essa vandalizzata con un’azione simile.
Si tratta di una ricerca, spiega Sara Zenoni, docente di genetica agraria all’Università di Verona e coordinatrice, insieme a Mario Pezzotti, del gruppo di genetica agraria che opera in Valpolicella, finalizzata a utilizzare sempre meno agrofarmaci per la coltivazione, per individuare una via sicura e sostenibile che contrasti gli effetti del cambiamento climatico e le fitopatie.
Un modo per potenziare la produzione agricola, tutelando l’ambiente e l’uomo. Confagricoltura, che sostiene questo tipo di ricerca, ha chiesto al Ministero dell’Ambiente di valutare l’effettiva opportunità di rendere pubblica la geolocalizzazione delle sperimentazioni in campo.
Cosa è successo nel vigneto di San Floriano?
Un’azione deliberatamente mirata a bloccare e compromettere la sperimentazione. Le piante prese di mira si trovano all’interno di un campo sperimentale più ampio, allestito dall’Università di Verona, nella zona della Valpolicella, dove c’è il corso di laurea in Enologia e Viticoltura.
Erano delimitate da una recinzione con un cartello che individuava la loro posizione: le altre presenti nell’appezzamento non sono state assolutamente toccate. La rete che le delimitava è stata tagliata: i responsabili di questa incursione sono entrati e hanno sradicato le piante. Le telecamere, che registrano 24 ore su 24 la zona, hanno ripreso due persone.
Cosa hanno fatto di preciso?
Hanno strappato le piante dal terreno e le hanno buttate per terra, spezzandole.
Ma chi può avere interesse a fare una cosa del genere? Possiamo parlare di “ecoterroristi”?
Tutto fa pensare a persone contrarie agli OGM. Chiamarli ecoterroristi, secondo me, è dare loro anche troppa importanza, perché sembra che lo facciano in base a principi ecologici, quando invece vanno a distruggere piante che potrebbero essere usate per una viticoltura più sostenibile: sono più resistenti e, quindi, col loro impiego si utilizzerebbero meno fitofarmaci. Sono terroristi e fanno un danno alla ricerca, ma la parola “eco” non si addice proprio al caso.
In realtà questa sperimentazione permetterebbe di usare meno fitofarmaci?
La viticoltura usa una quantità enorme di fitofarmaci perché la vite è una pianta poco resistente, molto suscettibile ai patogeni. Si fanno dei trattamenti veramente ingenti con queste sostanze chimiche, che inquinano l’ambiente, come è ovvio, ma soprattutto possono avere ripercussioni sulla salute delle persone che svolgono i trattamenti e che vivono vicino ai vigneti. Per non usare più gli agrofarmaci, cerchiamo di far diventare la pianta più resistente grazie a mutazioni che sono naturali e che abbiamo riscontrato in altre specie.
Insomma, non si capisce perché si debbano ostacolare questi progetti?
Stiamo andando in una direzione di maggior sostenibilità e ci vogliono tarpare le ali? Allora usiamo ancora i fitofarmaci. Noi stiamo andando in una direzione realmente biologica. Eppure, quando si sente parlare di mutazione genetica, ci si sente colpevoli. Ma è assurdo, è proprio ignoranza.
Quello che in teoria vorrebbero prendere di mira i vandali è l’uso degli OGM?
Gli autori dell’atto vandalico si sono accaniti contro l’utilizzo degli OGM. Mi piacerebbe però capire se sanno davvero che cosa sono e che cosa sono le piante TEA, cosa vuol dire fare una mutazione genetica. Gradirei molto che queste persone fossero edotte sull’argomento, perché la sensazione è che manchi la volontà di approfondimento.
Ho conosciuto alcuni di coloro che avversano i nostri esperimenti, ho detto loro di venire all’università per capire quello che stiamo facendo. Non vengono, perché è difficile poi mettersi a studiare per capire le cose. È più facile andare di notte a rovinare i progetti delle altre persone, facendo perdere soldi, l’energia investita, le competenze, il tempo.
Le piante di cui parliamo sono di un vitigno Chardonnay?
Sono piante di Chardonnay nelle quali noi abbiamo indotto una mutazione per renderle più resistenti alla peronospora, una delle malattie, insieme all’oidio, che più affliggono la viticoltura, per sconfiggere le quali oggi vengono utilizzati prodotti chimici.
Da settembre a oggi avete già avuto la possibilità di verificare qualche risultato in questo trattamento?
In serra abbiamo avuto delle indicazioni veramente molto, molto positive: si è vista una resistenza significativamente più alta. Ora dovevamo avere la riprova sul campo: abbiamo iniziato il 30 settembre, ma a ottobre-novembre le piante cominciano a perdere le foglie e l’infezione di peronospora generalmente avviene in primavera.
È possibile salvare la sperimentazione?
Il materiale è stato gravemente danneggiato. Si sta valutando la possibilità di poterlo recuperare, anche se le speranze sono poche. Abbiamo provato a rimettere in terra quello che è rimasto. Mi spiace tanto per i ragazzi che collaborano alla sperimentazione, i giovani che con fatica sono rimasti in Italia a fare ricerca e si sono applicati con impegno ed entusiasmo. Quando hanno visto quello che era successo, li ho visti piangere.
Confagricoltura chiede che non vengano più indicati pubblicamente i luoghi dove vengono effettuate le sperimentazioni. Una proposta che vi convince?
È una cosa importantissima. Avevamo già fatto presente che non è necessario rendere obbligatoria la geolocalizzazione. Basterebbe dichiararla, lasciando che il ministero custodisca le informazioni necessarie. Non si tratta solo di non rovinare le piante, ma anche della sicurezza delle persone che lavorano alla sperimentazione.
Se c’è chi agisce con violenza, rischiano anche gli operatori. Noi comunque non abbiamo niente da nascondere: con i sequenziamenti del genoma, qualsiasi laboratorio può venire a prendere una foglia delle nostre piante e verificare quello che abbiamo dichiarato.
Ma questa è una sperimentazione pensata su un lungo periodo? Quindi quanti anni ci vogliono per un primo ciclo di osservazione?
Se ci limitiamo alla resistenza, le piante vanno valutate almeno due anni di fila, perché può capitare l’annata in cui c’è meno carica del patogeno o magari ce n’è troppa. Essendo una coltivazione all’aperto, ci sono tante variabili. Ma quello che interessa è anche vedere se il vino prodotto ha le stesse caratteristiche della pianta madre.
Quindi servono almeno tre anni di vinificazione, sempre che la pianta raggiunga la fioritura e il frutto, perché la vite, comunque, ha bisogno di almeno due anni di fase vegetativa.
I fanatici del biologico contrastano il miglioramento genetico, ma io, che lavoro nel miglioramento genetico, auspico il bio dappertutto, per tutte le piante, ci mancherebbe. Dico solo che il miglioramento genetico può aiutare ad andare nella stessa direzione.
(Paolo Rossetti)
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