Il delitto di via Levanna:la morte assurda di un ragazzino di dodici anni

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È il 24 febbraio del 1987. Siamo a Roma. La strada si chiama Via Levanna e si trova nel quartiere Monte Sacro.  Al civico 35 di una palazzina di cinque piani risiede la famiglia Aprile. L’appartamento si trova al pianterreno. Alle 8.40 – ma l’orario preciso non è certo – “qualcuno” suona il campanello dell’abitazione.

In casa ci sono Cristiano Aprile, dodici anni, la sorella Giada, quattordicenne, e la mamma, Fiorella Baroncelli. Gli altri due membri della famiglia: il padre Valerio e il primogenito Patrizio, diciassette anni, sono rispettivamente al Galileo Galilei, l’istituto dove Valerio Aprile insegna elettrotecnica e di fronte al liceo artistico che Patrizio frequenta. Quel giorno a Roma c’è una manifestazione contro il nucleare, alla quale hanno aderito anche gli studenti delle scuole medie superiori, quindi per le strade – soprattutto quelle, come la Nomentana, che vanno verso la zona della Stazione Termini – c’è più traffico del solito.

Tutto si svolge in una manciata di minuti. Il campanello di casa Aprile suona insistente per altre due volte. La signora Baroncelli è a letto in una sorta di dormiveglia. Si è destata alla prima scampanellata e si è diretta verso l’ingresso. Quando apre la porta si trova di fronte un giovane alto, magro, “di un colorito livido, un pallido che andava nel livido, occhi neri, capelli nerissimi, mi sembra tagliati a spazzola e occhiali cerchiati di scuro.” Non è la prima volta che lo vede. Sei o sette giorni prima si era presentato intorno all’ora di pranzo a chiedere un libro. Ecco cosa racconta Fiorella Baroncelli il 3 marzo 1987 agli inquirenti: “Andai ad aprire, sarà stata circa l’una o forse le due, non sono sicura, mi trovai davanti un ragazzo giovane che mi disse di essere un allievo di mio marito, dopo avermi chiesto se mio marito stesso era presente. Gli chiesi se aveva un appuntamento, ma lui rispose che era venuto solo per prendere un libro di elettrotecnica. Lo feci allora entrare e lo aiutai a cercare questo libro.” Ma il libro non era stato trovato e il giovane se n’era andato.

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Questa “seconda visita” sorprende la signora Baroncelli, anche perché accade l’impensabile. Il ragazzo riesce ad entrare e pone un braccio attorno al collo della donna, mentre con l’altra mano, armata di coltello, la minaccia. Dopo qualche istante la lega ad una sedia con una “cordicella” che ha portato con sé. Alla Baroncelli l’atteggiamento dell’intruso appare indeciso. “Oltre tutto sembrava molto indeciso sul da farsi, esitante, con i modi di chi non sa bene dove vuole arrivare.”
Ad un certo punto il ragazzo chiede dove sono i soldi. Si legge sempre nel verbale di sommarie informazioni del 3 marzo: “(…) io ho risposto che ce li avevo su un mobiletto della camera da letto, in una cassettina ben visibile. Subito dopo mi ha chiesto quante persone ci fossero in casa. Io gli ho risposto che c’era solo la bambina in camera da letto ed allora lui mi ha domandato quanti figli avessi. Gli ho risposto tre, dicendogli contemporaneamente che due di loro stavano a scuola.”

Purtroppo non è così, perché Cristiano è a casa. Il ragazzino frequenta la media Menenio Agrippa che si trova vicinissima a Via Levanna. Pochi minuti a piedi. La madre spiega agli inquirenti di averlo sollecitato ad uscire e di essersi poi riaddormentata. “Siccome non mi sentivo molto bene, mi sono rimessa a letto, nel matrimoniale, dove c’era pure Giada che dormiva con me perché non si era sentita bene. Dopo qualche minuto che mi ero rimessa a letto, ho bussato alla parete per sollecitare mio figlio affinché si preparasse. Lui mi rispose che lo stava facendo ed io, convinta, che stesse per uscire, mi sono addirittura riassopita.”

L’intruso dirigendosi verso la stanza da letto matrimoniale scorge Cristiano. Dorme nel letto a castello che condivide con il fratello più grande. L’azione diventa caotica. L’intruso entra nella stanza del bambino. Si odono delle grida. Così ricostruisce la mamma: “Pochi attimi dopo, non so quantificare con esattezza il tempo trascorso, ho sentito gridare mio figlio, anche se devo precisare che, in un primo momento, non ho ben capito quale dei due figli avesse gridato. Pensavo, anzi, che a gridare fosse stata Giada. Mi sono allora precipitata verso le stanze dei bambini, ma, nel tratto di corridoio antistante, mi sono vista l’individuo davanti e non ho visto altro, perché coperta da lui che, con estrema violenza, mi ha trascinata nel bagno, cominciando a colpirmi con il coltello.”

La signora Baroncelli cade sul pavimento del bagno e – forse – perde i sensi per qualche istante. Nel frattempo il “ragazzo pallido” aggredisce anche Giada. La madre se la ritrova davanti coperta di sangue. A questo punto la signora raccoglie le forze, raggiunge la porta d’ingresso dell’appartamento, la apre e chiede aiuto. “Appena uscita ho visto la donna delle pulizie ed ho suonato i campanelli delle due porte che si trovano sullo stesso pianerottolo.”

Nel mentre la signora Elvisa – la donna delle pulizie del palazzo – si avvicina a soccorrerla vede uscire dall’appartamento degli Aprile il “ragazzo pallido”. La signora in quel momento non ci fa caso, ma quello che si allontana indisturbato è l’assassino.
La telefonata al centralino del 113 arriva alle ore 9.06. Una decina di minuti dopo giunge in Via levanna la prima volante della Polizia e – quasi contemporaneamente – l’ambulanza. Gli operatori sanitari trasportano il corpo di Cristiano nel veicolo di soccorso e fanno salire anche Fiorella e Giada. Nel percorso verso l’ospedale il ragazzino muore.

I sanitari dell’Umberto I° si prendono cura delle due donne: la Baroncelli presenta “ferite da punta e da taglio nella regione anteriore e posteriore del collo. Shock emorragico. Enfisema sottocutaneo del collo.” Inoltre, ha “ferite multiple da taglio e punta (…) al cuoio capelluto, e alla mano sinistra”; la figlia ha “una ferita da punta e da taglio nella regione scapolare sinistra. Pneumotorace apicale sinistro traumatico. Tre ferite da punta e da taglio alla spalla sinistra. Ferite da taglio al vertice del capo, al dorso del naso e nella regione auricolare sinistra.” Il corpo di Cristiano presenta “ferite da difesa”, in particolare alle mani. Cristiano ha opposto qualche resistenza. Insomma il bambino ha lottato prima di essere sopraffatto. Il medico legale Giovanni Arcudi riscontra sul cadavere “diciannove o venti lesioni d’arma bianca. Non tutte le lesioni sono importanti, alcune sono solo superficiali, però due o tre hanno avuto una penetrazione importante nel corpo e hanno leso organi vitali, soprattutto vascolari del collo e hanno portato alla morte del bambino.”

Circa l’arma del delitto, Arcudi indica un “coltello da cucina”, ma dagli accertamenti effettuati non risultano coltelli mancanti in casa Aprile, quindi l’assassino lo aveva con sé. D’altra parte la Baroncelli riferisce di essere stata minacciata con un’arma da taglio subito dopo l’ingresso del ragazzo nell’appartamento. Il che dimostra che l’intruso lo aveva con sé quando è entrato nell’appartamento.

La notizia rimbalza nelle redazioni dei quotidiani. Secondo la prima ricostruzione si ipotizza il gesto di uno studente del professor Valerio Aprile che avrebbe ucciso per vendicarsi di un brutto voto, o meglio di una bocciatura. In verità la Polizia – fin da subito – segue tre piste. Alle 16 del 24 febbraio, quindi poche ore dopo il delitto, Gennaro Monaco – capo della Mobile di Roma – convoca i suoi uomini per fare il punto. Tra gli altri ci sono: Carlo Casini, dirigente della prima sezione “omicidi”, Gianfranco Melaragni, dirigente della seconda sezione “antinarcotici” e Francesco Santoro, dirigente della quinta sezione “antirapina”. Insomma si punta sullo studente, ma anche sul mondo dei tossicodipendenti e su quello dei ladri d’appartamento.

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Quando il 25 febbraio i giornali escono con la notizia dell’omicidio l’emozione è grande. In breve la commozione per questa morte assurda coinvolgerà l’intero Paese. Un bambino è stato assassinato nel luogo dove avrebbe dovuto essere più al sicuro, ovvero nella propria abitazione. La gente vuole sapere chi è l’assassino, ma dopo quasi due anni di indagini il caso viene archiviato.
Eppure a Via Levanna una testimone diretta – una condomina del civico 35 – aveva avuto modo di notare l’omicida in due occasioni diverse, peraltro temporalmente prossime all’aggressione. Poi, oltre alle due sopravvissute – Fiorella Baroncelli e Giada Aprile – c’erano stati due avvistamenti precisi dell’aggressore: quello della signora Elvisa, e quello di una colf che si apprestava ad entrare nel palazzo per raggiungere l’abitazione in cui prestava servizio.
In due anni di indagini gli inquirenti non riescono nemmeno a definire il movente. E, mancando il movente è venuto meno il “collante” tra vittima e assassino.

Di ipotesi ne vennero fatte tante: quella familiare, quella passionale, quella studentesca. Tuttavia venne tralasciata una pista che, invece, avrebbe dovuto essere presa in considerazione sin da subito, perché gli elementi per farlo c’erano: quella di un soggetto disturbato, di una persona che perde lucidità, entra nell’appartamento della famiglia Aprile, uccide il piccolo Cristiano, ferisce la madre e la sorella e va via lasciando in vita due testimoni oculari.

Quello di Via Levanna è un delitto senza movente, ovvero un delitto che appare incomprensibile perché maturato nella mente di uno squilibrato.
Sono convinto che se si rimettesse mano all’indagine, sarebbe ancora possibile assicurare alla giustizia chi ha ucciso Cristiano Aprile.

Per saperne di più sul delitto di Cristiano Aprile:
https://www.youtube.com/live/KWjo8f5kudk?si=80MeyZ0QY-kKRmhF



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