la pace viene dai popoli

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Prestito personale

Delibera veloce

 


Un anno dopo la sua prima uscita, Immanuel Kant aggiunse un articolo al suo Trattato per la Pace Perpetua: «Le massime dei filosofi circa le condizioni che rendono possibile la pace pubblica devono essere prese in considerazione dagli Stati armati per la guerra». Non è una disposizione di poco conto, è una delle prime formule giuridiche “del diritto ad essere ascoltati”, fattispecie diversa dal “diritto di parlare”. L’obiettivo di Kant era chiaro: andare oltre le tregue e gli armistizi, che non hanno capacità di annullare le cause da cui hanno origine le guerre, e sancire un impegno degli Stati a trasformare la cessazione dei conflitti armati in pace ampia e duratura.

Con il linguaggio di oggi potremmo dire che il filosofo si premurò di aggiungere quel principio per precisare che, senza “un pensiero divergente”, la pace fondata solo su interessi e rapporti di forza genera altri conflitti. Dov’è, oggi, il pensiero kantiano nello scenario ucraino? Non è certamente nella volontà di potenza di Putin, che pretende con la forza militare territori che non gli appartengono; e non è nella forza di mercato degli Usa, che intendono barattare la sicurezza di una nazione aggredita con la cessione delle sue terre rare. Tanto meno nella “non verità” di Trump su Kiev quale primo motore della guerra. Ma Kant non è neanche nelle parole pur nette della presidente Von der Leyen e dei Capi di Stato che si sono dichiarati solidali con il popolo ucraino. Non si scorge, da nessuna parte, nemmeno una residua vestigiale di quel trattato. Si discute, a ragione, del rispetto del diritto internazionale e della forza in campo necessaria a respingere i tentativi espansionistici di Putin, ma non si affronta il “come” trasformare l’attuale condizione di conflitto in una situazione migliore. Il diritto nasce per contenere e sanzionare la violenza, ma nasce esso stesso dall’uso della forza, legittimata ex post. Un trattato di pace ingiusta altro non è che un diritto con fondamenta sbagliate, che non trova legittimazione nei popoli che lo subiscono, ed apre a nuove guerre. Per questo né la forza né il diritto da solo possono di per sé trasformare i conflitti in opportunità di progresso. Affinché ci sia “pace duratura”, è necessario che le organizzazioni statali si aprano al dialogo con la filosofia, con l’arte, con le religioni. Un altro insigne europeo, Erasmo, parlava di pace come “sommo bene” solo nella forma dell’amicizia tra i popoli.

Possono Trump o Putin garantire con i loro eserciti e le loro economie questa amicizia futura ad est? Possono l’Europa e l’Ucraina continuare da sole una guerra di difesa a oltranza? Salvo che non si prenda in considerazione uno scontro nucleare, la risposta è negativa ad entrambe le domande. Tra la constatazione che l’appeasement sia un comportamento fallimentare e che un accordo ingiusto fatto sulla pelle degli ucraini non abbia futuro, cosa resta nel mezzo? Nella terra di mezzo ci sono i popoli, i loro pensatori, gli attivisti della società civile. I popoli europei possono esercitare oggi il loro “diritto ad essere ascoltati”.

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 

Non sono i nostri leader istituzionali a poter rispondere con la filosofia kantiana al linguaggio mercatale di Trump o al disprezzo del diritto internazionale di Putin; se lo facessero sarebbe come dare “perle ai porci”, non ci capirebbero e più facilmente si rivolterebbero contro una Europa appellata artatamente “pigra”, che usa lo scudo americano mentre discetta bellamente di filosofia. Solo i “non addetti ai lavori” hanno la possibilità di schierarsi per la pace perpetua: tocca ai cittadini europei e ucraini comuni mettersi in movimento insieme. Abbiamo padri e madri come Kant, Montesquieu, Erasmo, Harendt, ma non saranno loro a parlare per noi, saremo noi se non ci limiteremo a gridare sui social la nostra ragione.

Nell’epoca delle relazioni virtuali, torna prepotente la centralità del corpo. O siamo presenti fisicamente in questo tornante della storia o non saremo ascoltati. Non basta limitarsi a dire “no agli eserciti” e poi proseguire la nostra vita quotidiana con le priorità che avevamo prima che questa aggressione avesse corso. Si può invece dire: tacciano le armi, degli aggressori in primis, e facciamo avanzare i nostri corpi disarmati come “corpi civili di pace”. Possiamo chiedere che la nonviolenza degli eredi di Kant sia ascoltata, solo se chiederemo a noi stessi di agirla come mezzo per trasformare lo scenario attuale del conflitto in uno più desiderabile, per tessere tra i popoli quel tappeto relazionale su cui si posizionerà domani un tavolo di pace. Dobbiamo farlo noi, nessuno può farlo al posto nostro.





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link