Assistenza territoriale, la Segreteria Regionale FIMMG Abruzzo scrive a tutti i Sindaci – Il Giornale di Chieti

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Nella serata di ieri si è riunito il Direttivo Regionale della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale Abruzzo con all’ordine del giorno la discussione sulla nuova ipotesi di riforma dell’assistenza territoriale che potrebbe vedere sostituito l’attuale rapporto libero professionale e di libera scelta con quello di dipendenza e conseguente perdita del rapporto “fiduciario” e della libertà di scelta del proprio medico da parte dei cittadini.
In particolare, si è voluto valutare che impatto potrebbe avere questo nuovo modello assistenziale nella nostra regione tenuto conto dell’aspetto orografico del territorio, la presenza di numerosi comuni montani con ridotta popolazione costituita prevalentemente da persone anziane, fragili e portatori di patologie croniche. Si è tenuto soprattutto conto della mancata programmazione del ricambio generazionale della classe medica, da parte dello stato, che sta determinando già notevoli disagi a queste comunità e che la paventata riforma potrebbe determinarne ulteriori.
Tra le varie azioni che si è deciso di intraprendere, a partire dai prossimi giorni per informare e sensibilizzare i cittadini ed i politici regionali al problema, vi è stata anche quella di scrivere la seguente lettera aperta a tutti i sindaci.

Egregio Sig. Sindaco,
ci rivolgiamo alla Sua attenzione per esprimere la forte preoccupazione della nostra categoria in merito al futuro della Medicina Generale in Italia, ed in particolare nella nostra regione, ed al rischio di compromettere uno dei pilastri fondamentali del nostro Servizio Sanitario.
È in corso un preoccupante dibattito sul passaggio del medico di famiglia alla dipendenza, fortemente voluto da alcune Regioni ed all’attenzione del Ministro della Salute. Tale ipotesi, se portata a compimento, rischierebbe di introdurre profondi cambiamenti che andrebbero a svantaggio di tutta la popolazione, in particolare delle persone anziane e più fragili. Il passaggio alla dipendenza rischia di compromettere da un lato la relazione di fiducia su cui si fonda il nostro rapporto di cura con l’assistito, dall’altro la capillarità della nostra presenza sul territorio. Lo scenario metterebbe in discussione la sopravvivenza dei nostri studi e la loro localizzazione capillare sul territorio.
Ad oggi nella nostra regione su un totale di 305 comuni vi sono distribuiti 920 medici di famiglia con ben 1071 studi aperti. In ogni comune, anche il più piccolo, è garantita una loro presenza con evidente capillarità territoriale. Fino ad oggi è il medico che ha garantito una presenza di “prossimità” rispetto al domicilio dei loro pazienti ed il rischio concreto è che in futuro non potrà essere più così perlomeno nei confronti di coloro che vivono nelle periferie ed aree interne e lontani dalle quaranta Case di Comunità previste in tutta la regione.
È reale il rischio che un cambiamento di questo genere determinerà una depersonalizzazione del nostro ruolo perché, operando in maniera esclusiva all’interno delle suddette Case della Comunità, vedrà il paziente consegnare le sue problematiche di salute, non più al suo medico di fiducia e che lui ha scelto, ma a quello di turno nella struttura. Si rischia di perdere tutto il patrimonio di conoscenze delle problematiche di salute, e non solo, che il medico ha acquisito nel tempo dai suoi pazienti. In un’epoca in cui i progressi conseguiti in campo medico hanno reso estremamente sofisticate e peculiari alcune specializzazioni che “curano” solo l’organo o addirittura la singola malattia, e non più la persona nella sua interezza ed in maniera olistica, il medico di medicina generale resta l’unica figura in grado di farlo evitando eventuali rischi.
Tutto questo deriva dalla falsa convinzione e narrazione delle Regioni per un presunto rifiuto della categoria di poter o voler svolgere la propria attività nelle Case di Comunità come previsto dal DM/77. Non è così. Molti di noi, in diverse realtà regionali, esercitano e garantiscono la loro presenza già all’interno delle Case della Salute o delle prime Case di Comunità, dove già realizzate. Il nostro nuovo contratto di lavoro (ACN) rinnovato nell’aprile scorso prevede già che una quota oraria del nostro lavoro venga svolta al loro interno. Dobbiamo però constatare che, ad oggi, non sono stati applicati dalle Regioni, per tramite degli accordi integrativi. In particolare, nella nostra, a causa delle ben note difficoltà di bilancio, l’iter si preannuncia ancora lungo e di difficile conclusione con tutto ciò che ne potrà conseguire.
Il continuo e non più sostenibile carico burocratico del nostro lavoro, la mancanza di risposte adeguate alle richieste di personale di studio, alla promessa di un già previsto finanziamento di circa trecento milioni di euro per dotarci di strumentazioni per la diagnostica di base, a favorire le aggregazioni tra medici, i mancati adeguamenti economici ai sempre maggiori costi di gestione degli studi hanno reso meno attrattivo il nostro lavoro da parte dei giovani colleghi che preferiscono altri sbocchi occupazionali più “prestigiosi” e remunerativi non garantendo quindi l’adeguato ricambio generazionale rispetto ai sempre più numerosi pensionamenti.
Il vero problema da risolvere è la carenza di medici e non potrà avvenire cambiando il rapporto di lavoro da liberi professionisti a dipendenti. Tutti i sondaggi svolti mostrano che la maggioranza non è propensa alla dipendenza ed è facilmente intuibile che un giovane sarà più attratto da altre specializzazioni che gli consentirebbe loro di svolgere anche attività libero professionale che, al contrario, la medicina di base preclude.
Non va sottaciuto un altro dato importante che, da calcoli effettati, questo cambiamento comporterebbe un onere economico quasi doppio a quello attuale. La nostra regione sarebbe in grado di sostenerlo?
Anche i pazienti hanno dimostrato, dagli ultimi sondaggi effettuati da fonti ed agenzie “neutrali”, che in grande maggioranza apprezzano e promuovono il nostro lavoro e non vogliono che cambi.
Per queste ragioni vogliamo tutelare l’autonomia professionale dei medici di famiglia, preservare il rapporto fiduciario con i propri pazienti e garantire l’accessibilità capillare alle cure pur rinnovando e ribadendo la nostra disponibilità ad essere presenti nelle Case di Comunità .
Come amministratore locale siamo certi che condividerà le nostre stesse preoccupazioni, soprattutto in relazione alla prossimità e capillarità dell’assistenza che oggi, pur in una situazione di grave carenza di personale, il Medico di Medicina Generale garantisce anche nelle aree più difficili e periferiche.
Restiamo a disposizione, se lo ritiene utile ed opportuno, per incontri per approfondire il tema e rappresentare le nostre ragioni.

La Segreteria Regionale FIMMG Abruzzo

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