Un ministero per Cinema, audiovisivo e digitale? Pro e contro della proposta di Pupi Avati

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Il settore cine-audiovisivo italiano boccheggia, con parte significativa dei lavoratori che è a spasso, con i teatri di posa di Cinecittà non esattamente affollati, con una Rai da mesi senza Presidente ed in deficit di identità… eppure la Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni continua imperterrita nel suo pervicace ottimismo. Anzi Borgonzoni addirittura accusa coloro che criticano la politica del governo in materia di cultura di essere dei menzogneri (i soliti “comunisti”?!), sostenendo che il loro “raccontare menzogne è danno al settore”. Intervenendo nell’Aula del Senato martedì pomeriggio 18 febbraio, nella replica del Governo durante la discussione sul controverso “Decreto Cultura” (belle intenzioni, modeste risorse), ha sostenuto: “capisco lo scontro politico, ma non raccontiamo menzogne… nel 2024 il mondo del cinema e dell’audiovisivo ha chiesto come tax credit nazionale 250 milioni di euro, internazionale 100 milioni. Sono 29 le produzioni ora nel nostro Paese che stanno girando. Sono abbastanza stufa ormai di sentire la stessa cosa sull’audiovisivo che va male… Questo racconto che continuiamo a fare è solo un danno, come fatto anche su Cinecittà”.

La Sottosegretaria sembra ignorare che, a seguito della mal gestita e ritardata gestazione dei decreti di riforma del “Tax Credit” (di cui è la prima responsabile, avendo ricevuto delega totale dall’ex Ministro Gennaro Sangiuliano, confermata dal suo successore Alessandro Giuli), dall’estate del 2023 il settore ha registrato uno stallo e non poche sono state le manifestazioni di protesta, soprattutto da parte dei lavoratori. Come può ignorarle?! Sono… “menzogneri” anche i lavoratori scesi in piazza, in primis il Comitato #Siamoaititolidicoda, che anche pochi giorni fa ha ri-denunciato la sostanziale stagnazione del sistema e la crescente disoccupazione delle maestranze?!

Va ricordato che sul settore pende la “spada di Damocle” dell’annunciata udienza del Tar del Lazio, prevista per il prossimo 4 marzo, che dovrà esprimersi sui ricorsi presentati da decine di società di produzione indipendente contro i recenti decreti ministeriali di riforma del Tax Credit, che hanno confermato le asimmetrie a tutto vantaggio dei “big player” e delle multinazionali multimediali straniere (Fremantle su tutte, ovvero Rtl Group ovvero il gigante tedesco Bertelsmann). Nel mentre, mercoledì 19 il Fatto Quotidiano ha dato notizia in esclusiva dell’indagine avviata dalla Procura di Roma, a seguito di un esposto dell’avvocato Michele Lo Foco (membro del Consiglio Superiore del Cinema e Audiovisivo), su alcuni film che hanno dichiarato al Mic costi di produzione notevolissimi, così beneficiando dell’assai generoso aiuto dello Stato, corrispondente al 40% del budget.

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Diverte osservare che pochi minuti dopo che anche l’Ansa aveva rilanciato il servizio de il Fatto, è apparso un altro dispaccio che segnalava che è “pronto il nuovo decreto tax credit del Ministero della Cultura. Il provvedimento, correttivo della riforma del tax credit, è già stato inviato al Mef con cui il Mic lo condivide, e al Mimit, prima del suo varo, che a questo punto attende il via libera del Tesoro”.

In questa situazione di continua sospensione ed esasperante attesa, s’è sviluppato un originale dibattito sulla possibile istituzione di un nuovo dicastero: un Ministero per il Cinema, l’Audiovisivo, il Digitale. L’idea è stata lanciata dal maestro Pupi Avati in un’intervista sul Corriere della Sera del 6 febbraio. Ha registrato consensi crescenti, anche da parte di registi come Giuseppe Tornatore, Roberto Andò, Daniele Luchetti… Da ultimo, Marco Tullio Giordana, che ne ha scritto su il Fatto di lunedì 17 febbraio. E mercoledì 19 il Vice Premier (nonché Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale) Antonio Tajani ha alzato il tiro, elevando l’idea di Avati a livello di proposta politica, dichiarando: “l’idea di Pupi Avanti è interessante. Valuteremo questa iniziativa con gli alleati di governo”. Il suo “valuteremo con gli alleati” (Fdi e Lega) ha subito registrato l’infastidito dissenso della Borgonzoni, che sostiene che sarebbe “dannoso distogliere fondi ora”. In verità, non si capisce perché un nuovo dicastero “distoglierebbe” fondi: anzi, sarebbe evidentemente dotato di una sua specifica autonomia budgetaria. “Ringraziamo per lo spunto dato – dichiara la senatrice leghista – ma il tema non può essere all’ordine del giorno… Duplicare un ministero sarebbe un’operazione inutile e dannosa: non solo economicamente, ma anche in termini di tempo. Si rischierebbe di paralizzare la filiera per più di un anno”.

Paradossale che venga evocato un… “rischio di paralisi” (!) della filiera cine-audiovisiva da parte di una Sottosegretaria che è la prima responsabile della paralisi che si protrae dall’estate del 2023! Paradossale. L’idea di Avati si pone invece come lungimirante e stimolante provocazione, intellettuale e politica: separare dalla grande “macchina burocratica” del Ministero della Cultura le “cose” dalle “attività”. Ovvero – sostiene il regista – smettere di “mescolare Uffizi e Netflix”. Da una parte, un Ministero per il Patrimonio Culturale (i musei in primis, le biblioteche, gli archivi, le “cose” della tradizione e conservazione, insomma) e, dall’altra, un Ministero per Cinema e Audiovisivo e Digitale (che includa anche lo spettacolo dal vivo – teatro e musica e danza – in quanto “attività”, e pure le industrie culturali e creative tutte, dal design all’architettura).

Sarebbe una rivoluzione, una nuova architettura dell’intervento istituzionale che potrebbe consentirebbe di focalizzare risorse e professionalità in modo tecnicamente più accurato e mirato.

Si ricordi sempre, comunque, che l’Italia è al penultimo posto in Europa (prima della Grecia) come spesa totale del Governo nella cultura, con una percentuale dell0 0,5%, a fronte della media dello 0,9% dei 27 Stati della Ue (fonte Eurostat, dato 2022). Miseria del budget attuale a parte, il problema di fondo resterebbe: se un simile dicastero non si attrezzasse con adeguati strumenti tecnici di conoscenza, ricerca, controllo e valutazione, si finirebbe per riprodurre le stesse patologie che caratterizzano il sistema attuale. Il meccanismo drogato del “Tax Credit” (solo una delle patologie del Ministero della Cultura) è stato infatti determinato da un’applicazione maldestra della “Legge Franceschini” del 2016, in assenza di controlli e di valutazioni. Il motto einaudiano del “conoscere per deliberare” è stato ignorato dalle politiche culturali italiane, questo è il vero dramma. Ed è a questo deficit che si dovrebbe anzitutto porre rimedio.

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