Il riciclo fa bene alla moda e fa bene al pianeta

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Carta di credito con fido

Procedura celere

 


Riciclo. Vi troverete a riunire i vostri abiti dismessi in una borsa, ma solo dopo averli ben selezionati. E quando uscirete per portarli ai più vicini cassonetti su strada (a Milano sono gialli) dedicati solo ai rifiuti tessili, indossate il vostro sorriso migliore. Non pensatelo come un “obbligo” voluto dalla normativa europea che, da gennaio, introduce sanzioni per chi butta vestiti e accessori nell’indifferenziata (e non in contenitori appositi), ma come la prima buona azione della giornata: motivati da quei dati insidiosi che spiegano come l’industria tessile sia responsabile del 10 per cento delle emissioni globali di gas serra. Si utilizza il 4 per cento delle risorse d’acqua dolce del pianeta, contribuendo al 20 per cento dell’inquinamento idrico industriale.

Qualche anno fa, in Lavorare con i piedi. Ciò che le tue scarpe stanno facendo al mondo (Einaudi), Tansy Hoskins spiegava come d’oltre 24 miliardi di paia di scarpe prodotte all’anno, più del 90 per cento finisca nelle discariche. Ma mettiamo un attimo in stop i dati allarmisti (e allarmanti): perché non guardare alle piccole soluzioni che possiamo mettere in pratica?

Richiedi prestito online

Procedura celere

 

Riciclo contro l’inquinamento tessile: progettare da subito la circolarità

Anche nel tessile, entro il 2025 il nuovo EPR (Responsabilità Estesa del Produttore) renderà i produttori responsabili dei costi relativi alla gestione dei rifiuti, incentivando la promozione della circolarità dei beni fin dalla progettazione. D’obbligo ritirare una quota di ciò che è portato sul mercato, proporzionale alla quantità immessa: «Per farlo, le imprese del settore si associano in consorzi ai quali delegano le responsabilità in materia di rifiuti. I capi dismessi sono portati in centri dove una manodopera specializzata li divide fra i rivendibili (alcuni in negozi vintage, molti nei Paesi in via di sviluppo) e i non utilizzabili, perché troppo usurati» spiega Giuliano Maddalena, Direttore di SAFE, l’Hub Italiano dei Consorzi per le Economie Circolari.

Riciclo, oggi la sfida è realizzare capi già pensati per poter generare nuovi materiali. (Oleh Slobodeni UK/Getty Images)

«Si creano tanto pezze per stracci, usate anche in attività industriali, quanto l’ovatta creata tramite sfaldatura. Più difficile la sfilacciatura con cui formare un nuovo filo (sia da fibre naturali che sintetiche). Ma l’obiettivo è il closed-loop, cioè realizzare capi già pensati per poter generare nuovi materiali, nel loro fine-vita. L’ultimo step? La termovalorizzazione: se non riciclabile, l’abito viene bruciato per creare energia».

Il rifiuto tessile separato è il 15 per cento. Si dovrà arrivare gradualmente al 45: una vera sfida, pensando a come la Francia, che in questo si è impegnata in modo volontario, abbia raggiunto il 38 per cento in 10 anni di lavoro.

Il riciclo va incentivato

Come se ne esce se oggi la fotografia è anche quella dei cumuli di abiti ammassati nelle discariche di Sud America e Africa? La colpa è anche di una filiera che non sempre seleziona bene i prodotti, prima di inviarli. «Vanno incentivate le raccolte selettive nei negozi: riunendo ad esempio parecchi chili di costumi da bagno o collant (riciclabili, ma non tutti lo sanno) sarà più facile smaltire il singolo materiale, non disperso nel cassonetto» conclude Giuliano Maddalena.

Nel 2023, anche grazie alla raccolta mondiale di abiti usati, la Federazione Humana People to People (nata nel 1998 e presente in 46 Paesi) ha finanziato 1.584 progetti di sviluppo, a beneficio di 17,9 milioni di persone, generando un impatto lavorativo d’oltre 20mila addetti nel mondo.

Prestito personale

Delibera veloce

 

A Bologna, la boutique solidale del progetto “ReUse for Good” distribuisce gratis abiti per adulti, bambini e neonati (Olena Malik / Getty Images)

«Seguiamo tutte le fasi della filiera, dalla raccolta alla selezione, fino alla valorizzazione dei capi: un sistema integrato e rendicontabile» spiega Karina Bolin, presidente di Humana People to People Italia. «Le persone sono già molto responsabili. A cosa dare più attenzione? Non tutto può essere inserito nei contenitori. Sono esclusi, per esempio, tappeti o tessuti inquinati da vernici, colle e materiali plastici. E poi abiti molto umidi o ammuffiti, ma anche accessori completamente rotti. In quel caso, meglio portare tutto nelle isole ecologiche del proprio Comune».

Comprare meno, meglio e indossare di più

La saggezza del passato insegna: perché non tornare all’arte del riparo? Non un caso che proprio Humana offra centri di riparazione nei suoi negozi (18 solo in Italia). Certo, i prezzi stracciati proposti dal fast fashion (o i più scadenti e meno costosi prodotti dell’ultra fast fashion) non incentivano questa buona pratica che porterebbe a comprare meno e meglio. «Il fast fashion rappresenta oltre l’80 per cento delle cose buttate ed è spesso difficile da riciclare. Senza contare che produrre – e quindi utilizzare – un filato riciclato, ora, è più costoso della fibra vergine. Tecnologie che dovranno diventare più accessibili» prosegue Bolin.

Insomma, bello lo shopping, ma se per trovare qualche sfizio entrare in una boutique di seconda mano diventasse un’abitudine? «Per questo riforniamo i negozi in modo puntuale con capi di stagione: alcuni giovani hanno sposato la causa e comprano solo capi pre-loved (già usati, ndr ). Diamo la possibilità a tutti di fare questa scelta».

Un consiglio per essere ancora più sostenibili? «Acquistare capi di qualità: non lavarli dopo averli indossati poche volte, per abitudine, se non lo esigono, risparmiando acqua. E per sprecare meno energia meglio lavaggi a bassa temperatura, limitando l’uso dell’asciugatrice».

Una riduzione d’oltre 246mila tonnellate di CO2 e più di 182 miliardi di litri d’acqua: questa la stima dei 27 milioni di chili di prodotto inseriti nei contenitori Humana in Italia lo scorso anno. Per la Ellen Mac Arthur Foundation, se ogni capo acquistato fosse indossato circa il doppio delle volte, l’emissione di gas serra si ridurrebbe del 44 per cento. Forse, invece che guardare al peggio, motivarsi con dati virtuosi ci regalerà un sorriso in più, quando usciremo con la nostra borsa di abiti destinati a fare anche del bene.

Riciclo attivo, la doppia vita degli abiti

Facile smaltire pochi abiti, più complicato quando una casa va svuotata: per questo Humana organizza ritiri a domicilio (raccoltavestiti.humanaitalia.org). Proprio come Rifò, marchio che oltre a proporre le proprie collezioni ricicla maglie in lana o cashmere e anche jeans, con servizi di raccolta a domicilio (o lasciandoli in un contenitore) trasformandoli in nuovi capi (rifo-lab.com).

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

A Roma, con Sant’Egidio, la Città Ecosolidale offre un centro di raccolta e distribuzione d’ogni tipo (abiti, mobili, coperte e anche dischi). Mentre a Torino, il Progetto Abito raccoglie i capi donati, li seleziona e li espone in un emporio sociale dove saranno scelti e presi gratuitamente. A Bologna, la boutique solidale del progetto “ReUse for Good distribuisce gratis abiti per adulti, bambini e neonati.

iO Donna ©RIPRODUZIONE RISERVATA





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Microcredito

per le aziende

 

Source link