La leader di FdI si schiera al fianco del presidente, ma parla del conflitto. «Gli ucraini un popolo coraggioso, serve una pace giusta e duratura»
Campionessa d’equilibrismo. La presidente del Consiglio interviene alla convention repubblicana Cpac con un discorso che prova a tutelare tutti gli interessi che Giorgia Meloni vorrebbe difendere: il rapporto con Donald Trump e l’economia europea, la difesa dell’Ucraina e la rete sovranista di cui lei rappresenta ormai uno dei nodi più importanti. Ma l’indirizzo ormai è chiaro: Meloni ha scelto Trump, e proverà a proporgli un’Europa che può fare gioco al presidente.
«Credo ancora nell’Occidente», dice Meloni, rivolgendosi a un presidente tra i meno interessati ai fatti europei da tanto tempo. «L’Europa è debole, ma finché i conservatori saranno in partita è tutto tranne che perduta. Non ci vergogneremo mai di chi siamo», continua la premier, ricordando che anche gli Stati Uniti possono beneficiare di un Vecchio continente forte. Tradotto: Trump non rinunci ai legami con l’Europa, di cui Meloni vuole essere protagonista e pontiera. Lo stesso vale per i dazi: citando il discorso del vicepresidente JD Vance, Meloni preannuncia che «difenderemo ciascuno i propri interessi senza intaccare la nostra amicizia», ma nella stessa frase sottolinea come «gli effetti di una guerra commerciale tra Stati Uniti ed Europa giocherebbero a favore di altre potenze mondiali». Il riferimento alla Cine è evidente.
E poi, il tasto più dolente. Partendo da una citazione di Pericle – «La felicità dipende dalla libertà, e la libertà dipende dal coraggio» – la premier tira in ballo la «battaglia di un popolo orgoglioso» contro «una brutale aggressione». Meloni è attenta a non citare mai esplicitamente la Russia di Vladimir Putin, con cui Trump sta trattando sopra la testa di Volodymyr Zelensky, ma raccomanda che Europa e Stati Uniti riescano a «lavorare insieme per una pace giusta e duratura» in Ucraina.
Dalle parti di Fratelli d’Italia tirano un respiro di sollievo perché è passata, anche se la partecipazione di Meloni alla convention – almeno a sentire le voci interne al partito – non è mai stata realmente in dubbio. Certo, tenere insieme l’Unione europea da un lato e il rapporto preferenziale con la Casa Bianca dall’altro diventa una missione sempre più difficile, ma dalle parti di via della Scrofa minimizzano con decisione l’impatto del gesto di Bannon sull’intero evento. «C’è una convention del principale partito americano dove parla il presidente americano, Meloni viene invitata e all’ultimo non va perché tal Steve Bannon alza il braccio, rischiando di creare un caso diplomatico con gli Usa?», si chiede polemizzando un parlamentare di primo livello.
Un peso eccessivo alle esagerazioni di un singolo, spiegano. E poi, tra Bannon e Meloni non corre buon sangue da tempo, precisamente da quando l’ideologo di Trump aveva spiegato che lui del ponte di Meloni tra Washington e il resto d’Europa non aveva bisogno. Apriti cielo.
La presidente del Consiglio con l’intervento alla convention guadagna ulteriori punti agli occhi del presidente americano, ma contemporaneamente è costretta a negoziare tempo con gli alleati europei, già ben consapevoli dello scarso entusiasmo della premier italiana durante gli ultimi summit di Parigi. Domani, dovranno addirittura fare a meno di lei: a differenza degli ultimi due anni, Meloni non parteciperà alla cerimonia per l’anniversario dell’invasione russa a Kiev, preferendo il Business forum italo-emiratino.
Smentite invece le voci di forfait alla videochiamata del G7. La divergenza tra i due interessi che Meloni lotta disperatamente per tenere assieme ha colpito anche il campo largo, con la riscoperta del suo animo trumpista da parte di Giuseppe Conte: Schlein ieri si è mostrata fiduciosa che ora la posizione dell’alleato sia chiarita, ma ha messo dei limiti. Con il Movimento 5 Stelle si può discutere di tutto e provare a trovare una sintesi. Ma «alla base c’è un elemento valoriale: per il Pd, Trump non è e non potrà mai essere niente di simile a un alleato».
La manovra leghista
Intanto, Matteo Salvini non è intenzionato a lasciare l’elettorato che simpatizza per quel che sta accadendo oltreoceano tutto a Meloni. Ma il vicepremier vuole anche surfare l’onda nera che si sta abbattendo su tutto il mondo: anche lui ha a disposizione un’infrastruttura europea che può governare in quella direzione, il gruppo dei Patrioti.
Come nei mesi passati, il leghista spinge sull’acceleratore e tenta di superare il partito della premier a destra. L’occasione è l’assemblea dei segretari di sezione della Lega lombarda, qualche ora prima del collegamento di Meloni con la Cpac: il segretario spara ad alzo zero e riesuma apparentamenti internazionali che in passato la Lega aveva lasciato volentieri sfumare dalla memoria. «La fortuna della Lega è che noi adesso abbiamo buoni rapporti a Washington, a Parigi, spero a Berlino col voto di domani e anche a Mosca», ha detto Salvini, (ri)aprendo anche a un apparentamento con AfD.
Stoppare i fratelli, curare gli affari: la sinistra non speri nella Cavaliera
La Lega era infatti già nello stesso gruppo a livello europeo, ma, dopo le dichiarazioni dello Spitzenkandidat Maximilian Krah sul fatto che le Ss non fossero criminali dello scorso giugno, Marine Le Pen aveva spinto perché AfD fosse rimossa da Identità e democrazia.
Anche in quell’occasione, insomma, a prendere le distanze da una vicinanza eccessiva al nazionalsocialismo era stato soprattutto Rassemblement National. Ma sembra acqua passata per il Carroccio: sono diverse le voci che a taccuino chiuso elogiano da tempo il percorso di AfD e spingono perché l’estrema destra tedesca possa rientrare nel gruppo dei Patrioti a cui appartengono oggi i leghisti a Bruxelles.
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